Tara (Bodhisattva)
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Tārā (letteralmente in sanscrito: Stella) o Arya Tārā, nota in tibetano come Dölma (sGrol-ma) o Jetsun Dölma (in cinese come Duo Luo 多羅 o come Du Mu 度母), è un Bodhisattva trascendente femminile del Buddhismo tibetano. Rappresenta l'attività compassionevole (sanscrito: karuna) e la conoscenza dell'intrinseca vacuità di ogni dualismo (prajñāpāramitā).
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[modifica] Gli aspetti di Tārā
Con Tārā in effetti si intendono numerose diverse emanazioni e forme, come diversi aspetti di un bodhisattva trascendente, preso cioè metaforicamente per incarnare una particolare qualità. Tārā stessa potrebbe essere considerata una emanazione di Avalokiteśvara o addirittura la sua variante femminile nel Buddhismo tibetano e nel Buddhismo Mahayana indiano. Infatti Avalokiteśvara stesso nel Buddhismo estremo orientale (in Corea, Cina, Giappone e Vietnam) è rappresentato come una donna (Guanyin) o come un essere sessualmente ambiguo.
Generalmente ci si riferisce a Tārā come a una delle sue 21 forme fenomeniche. Le più comuni sono:
- Tārā Verde, nota per la sua attività compassionevole e protettiva.
- Tārā Bianca, la compassione, la serenità e la cura, conosciuta anche come Cintachakra o Pozzo dei Desideri.
- Tārā Rossa, magnetica e risoluta. Un suo aspetto è anche talora quello di Sarvabuddha yogini.
- Tārā Nera, associata al potere.
- Tārā Gialla, la prosperità.
- Tārā Blu, Ekajati, associata con la rabbia e la sua trasmutazione.
- Tārā Cittamani, simile alla Tara Verde, ma diffusa in particolare nella tradizione Gelugpa.
- Tārā come prajñā in Yab-yum con il Buddha Trascendentale Amoghasiddhi.
Ciascuna diversa emanazione di Tārā può trasmigrare in persone leggendarie o storiche. Infatti due mogli del primo effettivo sovrano del Tibet, Songtsen Gampo (Sron-bTsan sGam-po) (617 - 649), ovvero la nobile cinese Wen Cheng e la principessa nepalese Bhrkuti che convertirono il re tibetano al buddhismo e fondarono il Jokhang, sono rispettivamente considerate la prima Tārā Bianca (Sitatārā) e la seconda Śyāmatārā, ovvero Tārā Verde Scuro, protrettrice dai pericoli.
Sono state riconosciute comunemente sette forme diverse come Tārā Bianca, nove Tārā Verde e poche altre per le altre Tārā. Tra queste:
- Tārā Bianca, oltre a Sitatārā, è anche Sitātapatrā, la Reggitrice di ombrello che protegge dalle ingiustizie e dai danni, e Uṣṇīsavijayā, la "Vittoriosa per l'unisa" (cioè la protuberanza cranica tipica dei Buddha) considerata pertanto madre di tutti i Buddha.
- Tārā Verde, oltre che Śyāmatārā, è anche Khadiravaṇī o Del Bosco di Acacie, protrettrice dagli otto mali, Mahāśītārā, Tara la Bellissima protettrice delle piante e Jāṅgulī o Conoscitrice dei Veleni che protegge da veleni e serpenti.
- Tārā Rossa, come Kurukulle.
Tutte e quattro le principali tradizioni del buddhismo tibetano (Sakyapa, Gelugpa, Ningmapa, Kadampa) recitano nei monasteri al mattino una Preghiera delle 21 Tārā. Anche è diffusa una pratica meditativa detta di Tārā in cui si recita il mantra a lei connesso:
Om Tare Tuttare Ture Swaha
Esiste anche una serie di 108 lodi a Tārā che possono essere recitate accompagnandosi dal rosario buddhista di appunto 108 grani.
[modifica] Genesi del culto di Tārā
Introdotta nel culto buddhista mahayanico verso il sesto secolo, Tārā era una divinità del pantheon induista associata a Sarasvati, Lakshmi, Parvati, e Shakti. Quindi un'espressione archetipa del principio femminile.
La sua introduzione è posteriore alla diffusione del Sutra della Prajñāpāramitā: naturale quindi che divenisse inizialmente la Madre della Perfezione della Conoscenza (la Prajñāpāramitā stessa), cioè l'applicazione del principio femminile al senso di non-dualità trasmesso dal testo, e che solo in seguito, come Usnisavijaya, sia divenuta madre di tutti i Buddha, ovvero origine della loro illuminazione.
Con l'associare a Tārā del concetto di madre si produsse l'ulteriore associazione con le qualità materne di compassione e pietà. Per i fedeli comuni nell'India del sesto secolo fu più facile riuscire a visualizzare come oggetto di culto una madre o una ragazza piene di energia caritatevole e disinteressata, che il suo effettivo ruolo di manifestazione della conoscenza (prajña) dell'intrinseco vuoto che permanea ogni dualismo, ovvero la consapevolezza, sulle prime piuttosto inquietante, che non esiste affatto distinzione tra Saṃsāra e Nirvāṇa.
[modifica] Il culto di Tārā nel Buddhismo tibetano
Tārā come salvatrice compassionevole ode le grida di disperazione degli esseri nel Saṃsāra, ma sorridendo nell'iconografia risponde a chi chiede aiuto. Da ciò la sua grande popolarità come culto che fu assunto dal Buddhismo Vajrayana già verso il settimo secolo. La diffusione del buddhismo in Tibet vi portò anche Tārā, che come culto rimane tuttora molto praticato in tutte le aree in cui è diffuso il Buddhismo tibetano mentre si è estinto in India assieme al Buddhismo Vajrayana e Buddhismo Mahayana nel tredicesimo secolo. Mentre i comuni fedeli invocano Tara per protezione, per consolazione e aiuto nelle tristezze della vita, nei monasteri e tra i praticanti laici del Buddhismo Vajrayana più istruiti divenne una divinità tantrica, una Yidam (tibetano: thug dam) da visualizzare, focalizzare ed evocare nella meditazione in modo da raggiungere la fonte stessa delle qualità di compassione illuminata di cui Tara è simbolo. Si vuole che sia stato lo stesso Padmasambhava a diffondere il culto di Tārā Rossa come Dakini e Yogini in Tibet. Questo specifico culto è tuttora molto diffuso nella tradizione Ningmapa, la più antica delle quattro principali. Ma anche maestri come Tilopa (988 - 1069) e Atiśa (982 - 1054) composero lodi a Tara.
[modifica] Leggende popolari su Tārā
La nascita di Tārā è usualmente associata ad Avalokiteśvara, il Bodhisattva della compassione. Questi, visualizzati i mondi più bassi in cui il ciclo delle rinascite porta gli esseri, mosso a compassione e deciso di dedicarsi alla salvezza di tutti, versò delle lacrime. Da queste si formò un lago in cui nacque un fiore di loto. Allo sbocciare del fiore al centro si trovava Tārā.
In un'altra leggenda si narra che Tārā, in una sua antichissima manifestazione come Yeshe Dawa (Luna dellla Consapevolezza Primordiale), dedicasse offerte al Buddha Tonyo Drupa per milioni di anni e da questi l'abbia istruita sul concetto di bodhicitta.
In seguito, avvicinata da dei monaci, si sentì dire che avrebbe dovuto mirare a una rinascita come maschio, per poi raggiunge l'illuminazione. Ella prontamente ribatté che l'essere di sesso femminile era una barriera per raggiungere l'illuminazione solo per gli ottusi che ancora illuminati non erano. Prese quindi la decisione di rinascere come bodhisattva femminile fino a che il Saṃsāra non si fosse svuotato. Dopo decine di milioni di anni di meditazione Yeshe Dawa manifestò la sua illuminazione suprema come Tārā.
A riguardo di questa storia così si espresse il XIV Dalai Lama:
"C'è un vero movimento femminista nel buddhismo che è collegato alla deità Tārā. Perseguendo la sua educazione alla bodhicitta, ovvero la motivazione del bodhisattva, lei pose lo sguardo su quanti si sforzavano di conseguire il pieno risveglio, e si rese conto che erano troppo pochi quanti ragiungevano la buddhità come donne. Così fece un voto: "Io in quanto donna ho sviluppato la bodhicitta. Per tutte le mie vite lungo il percorso faccio il voto di rinascere donna e, nella mia ultima vita quando conseguirò la buddhità, anche allora sarò una donna." Questo è vero femminismo."
[modifica] Iconografia
- Tārā Bianca si identifica iconograficamente per avere sette occhi: uno per ogni palmo e pianta del piede e uno sulla fronte. La sua raffigurazione è sempre con le gambe chiuse nella posizione del loto (sanscrito: padmāsana). Se alla sua immagine si accompagna un loro questo è sempre bianco.
- Come Sitatārā , ovvero Wen Cheng, con la mano destra compie il mudrā di garanzia (sanscrito: varadamudrā) mentre con l'altra indica l'incoraggiamento (sanscrito: abhayamudrā).
- Come Sitātapatrā con una mano regge un ombrellino, mentre l'altra è nel mudrā della rinuncia (sanscrito: śramaṇamudrā).
- Come Uṣṇīsavijayā ha tre volti di tre occhi ciascuno, e otto braccia che portano a destra: un'immagine del Buddha, un doppio vajra, una freccia e il mudra di garanzia, a sinistra: un mudra di incoraggiamento, un laccio, un arco e un vaso di Āmritā o gioielli.
- Tārā Verde è sempre rappresentata da seduta nella postura rilassata (sanscrito: ardhaparyaṅka) con il piede destro appoggiato su poggiapiedi di loto. Se è affiancata da un loto questo è scuro. Se accompagnata da due loti uno deve ancora essere chiuso in boccio.
- Come Śyāmatārā fa gli stessi mudrā di Sitatārā, mentre per il resto si associa all'iconografia tradizionale di Tārā Verde.
- Come Khadiravaṇī non ha il poggiapiedi.
- Come Mahāśītārā indossa i gioielli e la corona a cinque fiamme da bodhisattva trascendente. Se ha un poggiapiedi lo tocca solo con le dita dei piedi. Talora rappresentata nel mudrā di attivazione della ruota della dottrina (sanscrito: darmachakrapravartana).
- Come Jāṅgulī è seduta su un pavone, che si riteneva immune dai veleni.
- Tārā come prajñā (ovvero come Sapienza) in Yab-yum con il Buddha Trascendente Amoghasiddhi è raffigurata nuda, in posizione del loto di entrambi nel coito. Mentre Amoghasiddhi tiene nelle mani una campana e una spada, prajñā Tārā tiene in mano una coppa fatta con una calotta cranica e una campana (talora un doppio vajra).