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Guerra del Peloponneso

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Guerra del Peloponneso
SibotaPotideaCalci – Naupatto – Tanagra – Olpe – Pilo – Sfacteria – Delio – Anfipoli – Mantinea – Spedizione Siciliana – Sime – Cinossema – Cizico – Notium – Arginuse – Egospotami – Naxos

La guerra del Peloponneso fu un conflitto durato quasi trent'anni, dal 431 a.C. al 404 a.C., per l'egemonia in Grecia, con protagoniste Sparta e Atene e le rispettive coalizioni. Fonte fondamentale per la ricostruzione rimane l'imponente opera di Tucidide "La guerra del Peloponneso" e per la fase finale della guerra (anche se con minore credibilità storica) Senofonte.

La guerra viene divisa convenzionalmente in tre lunghe fasi:

[modifica] Cause e pretesti. La fase archidamica (431-421)

Nell'estate del 432 a.C. su richiesta dei Corinzi si radunò a Sparta l'assemblea federale della Lega del Peloponneso, per discutere sui provvedimenti da prendere nei confronti di Atene, che era entrata in aperto conflitto con due città facenti parte della lega, Corinto e Megara. Due erano i motivi di conflitto con Corinto:

  • Atene aveva fornito appoggio a Kerkyra (odierna Corfù), che era colonia di Corinto, nel conflitto che la opponeva alla sua colonia Epidamno (odierna Durazzo): era accaduto che ad Epidamno un colpo di stato democratico aveva cacciato dalla città gli aristocratici, che si erano rivolti alla madrepatria Kerkyra, la quale, a sua volta, aveva chiesto aiuto ad Atene; i democratici di Epidamno si erano invece rivolti a Corinto. Entrambe le città, Corinto e Atene, avevano inviato una flottiglia per sostenere militarmente i contendenti. Corinto accusava ora Atene di essersi intromessa in questioni che non la riguardavano, trattandosi di rapporti tra la città dell'istmo e le sue colonie.
  • Atene aveva inoltre imposto a Potidea, città della Calcidica membro della lega delio-attica, ma colonia di Corinto, di non accogliere più gli epidemiurghi, i magistrati che annualmente Corinto invivava a Potidea a scopo di controllo e supervisione, e di abbattere le mura che congiungevano la città al mare. Al rifiuto di Potidea di sottostare alle richieste ateniesi, Atene aveva inviato sul luogo una flotta che aveva dato inizio all'assedio della città.

Il motivo di attrito tra Atene e Megara consisteva nel divieto imposto per decreto da Atene ai cittadini di Megara di frequentare i porti di qualunque città facente parte della lega delio-attica: in questo modo Atene conseguiva lo scopo di bloccare i commerci della città rivale.

Questi tre elementi, però, come specifica chiaramente Tucidide nell'analisi dei presupposti della guerra, costituirono solamente i pretesti (le "αιτíαι") della guerra, che invece trovava il vero motivo nella volontà degli Spartani di opporsi allo strapotere di Atene, la quale, fin dalla fine delle guerre persiane, aveva intrapreso un percorso di progressiva estensione della sfera di dominio sul mondo greco, anche a scapito dell'autonomia e della libertà delle altre poleis.
All'interno del consiglio della lega peloponnesiaca, a favore della pace parlò il vecchio re spartano Archidamo, ma l'assemblea riconobbe che Atene aveva violato i patti e si dichiarò favorevole alla guerra. Un ruolo in questa decisione, stando al racconto tucidideo, fu svolto anche dall'eforo Stenelaida, che ricordò agli spartani il loro ruolo di paladini della libertà di tutti i popoli della Grecia. A questa dichiarazione seguì un ultimatum, che intimava ad Atene di ritirare i decreti contestati e di risolvere i contrasti con Corinto e Megara. Atene, spinta da Pericle, fu irremovibile e i Peloponnesaci iniziarono le manovre di guerra. Pericle conosceva perfettamente i rapporti di forza tra i due schieramenti e sapeva che difficilmente gli Ateniesi e gli alleati avrebbero potuto opporsi alla fanteria oplitica lacedemone, ma era anche sicuro che la città potesse fare affidamento sulla propria struttura difensiva: Atene e il Pireo costituivano, infatti, un unico complesso protetto da mura, una immensa fortezza nel cuore dell'Attica, in grado di accogliere tutti gli abitanti del territorio, chiamato "lunghe Mura". Secondo i piani, infatti, tutti i cittadini dell'Attica furono indotti a lasciare la propria residenza e a stabilirsi in città, lasciando che i lacedemoni si sfogassero in annuali quanto infruttuose devastazioni del territorio. La flotta avrebbe garantito ad Atene il necessario approvvigionamento di viveri e avrebbe al tempo stesso consentito di portare attacchi alle coste del Peloponneso. L'idea di Pericle era dunque quella di condurre il nemico a un progressivo sfiancamento.
La guerra effettivamente iniziò a svolgersi come Pericle aveva previsto: l'esercito spartano invase l'Attica sotto la guida di Archidamo (da cui il nome di "archidamica" conferito alla prima fase delle ostilità) ma non poté fare altro che saccheggiare campi e villaggi abbandonati e deserti, mentre Pericle guidava la flotta alla devastazione delle coste peloponnesiache.

Dopo il primo anno di guerra, però, le vicende presero un corso imprevisto. Le precarie condizioni igieniche in cui vivevano le migliaia di cittadini ammassati all'interno delle mura di Atene facilitarono il diffondersi nel 430-429 a.C., di un'epidemia di peste, descritta dettagliatamente da Tucidide, che, con tutta probabilità, era giunta dal mare, dall'Etiopia e dall'Egitto, e causò migliaia di vittime e la morte di Pericle, influenzando così le sorti del conflitto.

Alla morte di Pericle, assunse la guida della fazione popolare Cleone, deciso a portare avanti la guerra ad ogni costo e in fretta, ben al di là della strategia attendista di Pericle e in opposizione alla parte aristocratica che, riunita intorno alla personalità di Nicia, premeva per richiedere una tregua a Sparta. La situazione di Atene era resa particolarmente precaria dal malcontento degli alleati che fu reso evidente dalla decisione assunta nel 427 a.C. da Mitilene di uscire dalla lega delio-attica: benché fosse diritto di ogni membro poter agire in tal senso, Atene, date le circostanze, non poteva consentire che un alleato, che per di più forniva un contributo importante quale il rifornimento di navi, abbandonasse con facilità la federazione, fornendo un esempio pericoloso agli altri membri. Cleone spinse l'assemblea dei cittadini a votare l'invio di una spedizione militare che costringesse i Lesbii a tornare sui propri passi: Mitilene non cedette e gli Ateniesi intrapresero un assedio che riuscì vittorioso. Mostrando una ferocia inusitata, Cleone convinse l'assemblea a decretare la soppresssione di tutti i cittadini maschi e la riduzione in schiavitù di donne e bambini. La notte, tuttavia, recò più miti consigli e l'assemblea, rimangiandosi la decisione presa, si limitò a far giustiziare circa mille cittadini mitilenesi, che considerava i principali fautori della rivolta, e a decretare la distruzione delle mura e la consegna della flotta. All'interno della lega delio-attica, la sola isola di Chio conservava una posizione relativamente autonoma, mentre Atene si atteggiava sempre di più a tiranna.

Nel 426 a.C. la flotta ateniese guidata da Demostene, durante uno dei tanti peripli del Peloponneso volto alla devastazione del territorio, blocca sull'isola di Sfacteria, che chiude la baia di Pilo in Messenia, un contingente di opliti spartiati. Alla richiesta di Demostene di ottenere altre forze l'assemblea generale ateniese risponde votando l'invio di un contingente guidato da Cleone, che ottiene una vittoria memorabile per gli Ateniesi e catastrofica per gli Spartiati, i quali si ritrovano menomati nel loro già ridotto corpo civico e con 120 cittadini presi prigionieri.

La situazione spartana viene risollevata dal generale Brasida, che decide di portare la guerra fuori dal Peloponneso. Con una lunga marcia, conduce l'esercito fino in Tracia, presso la città di Anfipoli, che gli Ateniesi utilizzavano come base per rifornirsi di oro e di legname e grano proveniente dal Ponto Eusino. La città cade nel 424 in mano agli Spartani insieme al centro di Eione e la sconfitta ateniese causa l'ostracismo dello storico Tucidide, che in quell'occasione agiva da stratego. Nello stesso anno un altro esercito ateniese, guidato da Ippocrate, fallisce la coordinazione con le truppe di Demostene, che muovevano da Naupatto, e viene sconfitto in Beozia, presso il santuario di Apollo Delio nelle vicinanze di Tanagra, vanificando lo slancio prodotto dalla vittoria di Sfacteria.

Il principale scenario di guerra si mantiene in Tracia, dove nel 422 si scontrano frontalmente Cleone e Brasida, trovando entrambi la morte.

Sfiancate da dieci anni di guerra, dall'epidemia da una parte, dalle gravi perdite dall'altra, nonché dalla scomparsa dei principali generali, Atene e Sparta concordarono nel 421 una tregua che viene definita "pace di Nicia" dal nome di uno dei principali firmatari da parte ateniese. L'accordo conferma lo status quo, riconoscendo ad Atene tutti i possedimenti che deteneva all'inizio della guerra e garantendone la posizione di predominio sul mare, fine che si era riproposto Pericle. Dopo dieci anni circa di combattimenti, Atene appare quindi come vincitrice, essendo riuscita a resistere all'intento di Sparta di frantumare la lega delio-attica, restituendo autonomia e libertà agli Stati membri; tuttavia la città ha subito perdite gravissime, sia sui campi di battaglia, sia a causa dell'epidemia e la parte popolare non si mostra pienamente soddisfatta degli esiti della pace, che non apporta l'immissione di nuovi territori e lascia sostanzialmente intatta anche la potenza spartana. Sparta, dal canto suo, da sempre affetta da "oliganthropia", ossia da scarsezza di uomini, data la chiusura del corpo civico degli Spartiati, comincia a considerare con timore le perdite subite e comprende che senza un aiuto esterno non riuscirà mai a scalzare Atene dalla posizione di predominio.

[modifica] La spedizione in Sicilia (415-413 a.C.)

Già durante i primi mesi successivi alla pace di Nicia, Sparta e Atene non riuscivano a imporre il rispetto dell'accordo ai rispettivi alleati. Infatti la tensione nei due blocchi portò alla ripresa della guerra.

Ad Atene si diffuse il malcontento e la fazione radicale, favorevole a una soluzione militare definitiva, prese il soppravvento. Uno dei suoi capi era Alcibiade, nipote di Pericle, il quale riuscì a dare via libera al suo ambizioso progetto: mobilitare per la guerra tutte le risorse e le energie di Atene, aggredire Sparta con iniziative provocatorie ed estendere la battaglia alle regioni più imprevedibili.

In Sicilia la città di Segesta invocò l'aiuto dell'alleata Atene per sconfiggere Selinunte, città appoggiata da Siracusa, che era a sua volta alleata di Sparta.

L'idea di Alcibiade era questa: Atene doveva impadronirsi della Sicilia per guadagnarsi numerose ricchezze da investire nella lotta contro Sparta e nuovi alleati. Così la battaglia si spostò dalla Grecia alla Sicilia.

Atene allestì un'armata imponente: 134 triremi con un equipaggio di 25.000 uomini oltre alle 6.400 truppe da sbarco.Il comando fu affidato ad Alcibiade, a Nicia e a Lamaco. La flotta partì nel 415 a.C.

Tuttavia, un grave fatto aveva turbato la città, poco prima della partenza della flotta: una notte, qualcuno aveva mutilato le erme, le statuette di Hermes che decoravano gli spazi pubblici, e la voce popolare aveva indicato in Alcibiade e nei suoi uomini i responsabili. Una accusa era stata anche presentata ufficialmente in questo senso presso il basileus. A tale supposto delitto si intrecciava la diceria che, durante un simposio, Alcibiade e i suoi amici avessero messo in scena una parodoia dei misteri eleusini: evidentemente i nemici di Alcibiade cercavano di servirsi dell'accusa di empietà per mettere fuori gioco il rivale. Nell'imminenza della partenza e nella preoccupazione dei relativi preparativi, però, la procedura di accusa venne ritardata, probabilmente anche per l'accortezza degli accusatori, che temevano la personalità di Alcibiade e il favore di cui godeva presso gran parte della popolazione.


Le navi vengono dunque fatte partire e Alcibiade condivide il comando con Nicia. La spedizione sta per approdare in Sicilia quando Alcibiade viene raggiunto dalla nave di stato che gli reca l'accusa ufficiale di aver mutilato le erme e l'ordine di essere portato ad Atene per il processo. La responsabilità dell'episodio era invece dei suoi antagonisti politici appartenenti a una piccola fazione oligarchica. Egli si rifiuta di tornare in patria, fa perdere le proprie tracce e, per vendicarsi, si reca dalla rivale Sparta dove viene accolto con tutti gli onori e diventa un consigliere di valore inestimabile.

Intanto i comandanti ateniesi trovavano più difficoltà del previsto nell'espugnare Siracusa, difesa da Ermocrate. Tuttavia nel 414 a.C. strinsero la città in una morsa di ferro, sia dalla terra sia dal mare. La caduta della città sembrava imminente e tutti accorrevano al fianco dei futuri vincitori. Invece nel 413 a.C. i rinforzi guidati dallo spartano Gilippo piombarono sugli assedianti, rafforzarono le difese della città e riuscirono anche a spezzare la linea dell'assedio. Perse le speranze di prendere agevolmente la città e colpiti dalle perdite subite, gli Ateniesi decidono di abbandonare l'impresa e di ritirarsi, ma un'eclissi di luna consiglia a Nicia di ritardare la partenza per una notte: è l'errore definitivo. Gilippo ed Ermocrate ne approfittano per imbottigliare la flotta nel porto e distruggerla. Nicia allora tenta una ritirata strategica per via di terra, ma la temibile cavalleria siracusana insegue l'esercito ateniese e lo annienta. Nicia e Demostene vengono giustiziati e gli Ateniesi superstiti vengono condannati ai lavori forzati nelle latomie, le cave di pietra di Siracusa.

Il prestigo di Atene è compromesso, gli alleati scoraggiati, le finanze prosciugate, l'esercito decimato.

[modifica] La fase Deceleica (413-404)

L'intervento in Sicilia dello spartano Gilippo segna la ripresa diretta delle ostilità tra Atene e Sparta. I Lacedemoni riprendono la strategia dell'invasione annuale dell'Attica, praticata nella fase della guerra archidamica, applicando però un'importante modifica: occupano e sfruttano come base la fortezza di Decelea, a nord della regione, per rendere più agevole il controllo del territorio e il rifornimento delle truppe. Nel frattempo, traendo le conclusioni dell'analisi dei rapporti di forza, decidono di far rientrare i Persiani nel contesto dell'Egeo, stringendo un'alleanza con il Gran Re, che si impegna a fornire loro una flotta: in questo modo ai Persiani viene offerto il modo di superare i vincoli imposti dalla pace di Callia e gli Spartani hanno gli strumenti per fronteggiare Atene anche sul mare.

L'entrata in scena del Gran Re produce importanti effetti anche su Atene, dal punto di vista istituzionale. Gli oligarchi iniziano a far circolare l'idea che i Persiani potrebbero cambiare idea e scegliere gli Ateniesi come alleati, se solo questi mutassero il regime istituzionale abolendo la democrazia. Gli oligarchi si muovono secondo un piano organizzato nei dettagli e sotto la guida di Antifonte, aristocratico dall'intelligenza acuta, restio a parlare in pubblico ma capace di tessere la tela occulta del colpo di stato; uomini come Teramene e Peisandro forniscono il braccio operativo, ma molti sono gli affiliati alla congiura istituzionale, tanto che quasi tutti gli Ateniesi non osano opporsi, temendo che dietro il vicino di assemblea si nasconda un congiurato. È la stessa assemblea generale, convocata nel demo di Colono anziché nell'agorà, a decretare nel 411 il cambiamento istituzionale. Vengono spazzati via i cardini del regime democratico, la graphé paranomon, che consentiva a chiunque di denunciare chi avesse presentato all'assemblea una legge ritenuta illegale, e le indennità di magistratura. Il corpo civico viene ristretto a cinquemila cittadini e il potere affidato a una boulé composta da quattrocento cittadini scelti dai fileti, i magistrati a capo delle tribù.

Gli oligarchi, tuttavia, rimangono poco al potere: malvisti dalla popolazione che, non a torto, temeva la loro propensione di accordarsi con Sparta, se non addirittura arrendersi al nemico, vengono spazzati via dalla rivolta cittadina seguita alla sconfitta militare di Eretria, che comportò la perdita, da parte di Atene, di tutta l'Eubea. Uno dei congiurati, Frinico, viene ucciso in piazza, Peisandro fugge, Antifonte rimane in città, dove verrà processato e condannato a morte con l'accusa di tradimento. Teramene, che aveva attivamente partecipato all'organizzazione oligarchica, riesce invece a gestire la transizione alla democrazia: il potere non torna immediatamente all'assemblea generale, ma viene temporaneamente gestito dai cinquemila. Secondo Tucidide, questo è il periodo in cui Atene gode della migliore amministrazione di tutta la sua storia.

Pochi mesi dopo, il governo democratico è pienamente restaurato e si prepara a riaccogliere Alcibiade, il quale, nuovamente passato dalla parte di Atene, aveva combattuto in quegli anni per impedire la defezione degli alleati e aveva sconfitto il nemico spartano-persiano ad Abido e a Cizico. Nel 409 Alcibiade rientra trionfalmente al Pireo e viene eletto stratego. La supremazia sui mari, però, è ormai appannaggio degli Spartani, guidati da Lisandro, grazie alla flotta fornita dai Persiani e all'appoggio del satrapo della Ionia Farnabazo. Alcibiade non riesce a replicare i successi precedenti e nel 407, non essendo stato rieletto stratego, abbandona nuovamente, e definitivamente la città: morirà poco dopo in terra d'Asia, forse avvelenato. Nonostante le difficili condizioni in cui si trovano, gli Ateniesi riescono a cogliere, nello stesso 407 a.C., una importante vittoria navale presso le Arginuse, ma i contrasti politici e l'esasperazione degli animi vanificano il vantaggio acquisito: difatti gli strateghi vittoriosi vengono accusati di non aver prestato soccorso ai naufraghi e, giudicati davanti al tribunale popolare, vengono condannati a morte. Il solo Socrate si opporrà alla richiesta di condanna, rimanendo però inascoltato.

Poco dopo, nel 404 a.C., quello che resta della flotta ateniese viene bloccato nella baia di Egospotami da Lisandro e distrutto. Atene, rimasta senza flotta, con il territorio attico occupato dagli Spartani, senza più la possibilità di essere rifornita per mare, non può far altro che arrendersi. L'esercito spartano guidato da Pausania entra in città e impone condizioni di pace dure, ma più miti delle richieste dei Tebani e dei Corinti, che premono per la distruzione totale della città. Gli Ateniesi sono condannati a consegnare quasi tutte le navi rimaste, a sciogliere quello che rimane della lega delio-attica e ad abbattere le mura che circondavano la città e la congiungevano al Pireo. In più, la città è costretta ad accogliere, al Pireo, una guarnigione spartana, con a capo un armosta, che ha il compito di sorvegliare il rispetto degli accordi. Gli Spartani premono, inoltre, per un cambiamento istituzionale a favore dell'oligarchia e gli aristocratici, guidati da Crizia, colgono l'occasione per instaurare un regime tirannico e dittatoriale, molto più rigido di quello disegnato pochi anni prima da Antifonte: il governo dei Trenta Tiranni.


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