Sequestro Gancia

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Il 4 giugno 1975, nel pieno degli anni di piombo, Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario della nota casa vinicola, è sequestrato da un commando di brigatisti rossi allo scopo di estorcere denaro alla sua facoltosa famiglia per finanziare l'organizzazione.

Per rapirlo 5 terroristi vestiti da operai della Sip lo attesero lungo la provinciale piemontese Cassinasco-Canelli. Oltre loro c'erano ancora un certo numero di staffette che seguirono la loro vittima ed altri che sorvegliavano l'area scelta per il sequesto. Responsabile dell'operazione era Margherita "Mara" Cagol, compagna di Renato Curcio, capo storico delle Brigate Rosse .

Saputo del sequesto furono subito avviate le indagini da parte delle Forze di Polizia che stabilirono anche posti di blocco e avviarono battute per individuare i rapitori.

Durante i loro controlli i Carabinieri individuarono a Canelli un pirata della strada che a pochi metri dal luogo del rapimento e più o meno alla stessa ora aveva avuto un incidente e poi era scappato. Il guidatore, notando i militi, cercò di fuggire ma fu arrestato.
Condotto in caserma dichiarò generalità false e presentò un documento contraffatto. Da ulteriori verifiche si scoprì che si trattava in realtà di Massimo Maraschi, già indagato dal Nucleo Speciale Antiterrorismo dei Carabinieri che ne sospettavano l'appartenenza alle Brigate Rosse. Inoltre, il documento di identità presentato dal terrorista apparteneva ad un blocco sequestrato l'anno prima in un covo di Robbiano di Mediglia.

Massimo Maraschi fu quindi collegato al rapimento ed i carabinieri organizzarono subito dei controlli nelle zone più isolate del circondario, intuendo che la prigione non poteva essere lontana.

Il giorno successivo partecipa ai controlli anche l'allora tenente Umberto Rocca, comandante in sede vacante della compagnia di Acqui Terme, che con tre sottoposti (maresciallo Rosario Cattafi, comandante della Stazione di Acqui Terme e gli appuntati Giovanni D'Alfonso e Pietro Barberis, l'unico in borghese) si porta sulle colline dell'acquese. Lì vogliono controllare alcune cascine isolate, già segnalate per frequentazioni sospette ed utilizzabili per nascondere il rapito.

Alle 11:30 la pattuglia giunge nella località di Arzello del comune di Melazzo e presso la cascina Spiotta notano alcune automobili parcheggiate.

Mentre Rocca esamina le vetture, Barberis gli comunica di aver sentito dei rumori provenire dalla cascina. L'ufficiale allora ordina di bloccare la strada che porta alla cascina con la vettura di servizio, ma in posizione defilata così da essere fuori tiro dalla cascina, poi accerchiano l'edificio: Rocca si pone con il suo mitra sullo spigolo destro dell'edificio sulla facciata della porta, così da coprirne due lati; Barberis si porta sul retro dell'edificio dopo aver chiesto rinforzi via radio; D'Alfonso si dispone tra alcuni capannoni per tagliare una possibile via di fuga; Catalaffi bussa alla porta si porta dietro un casotto di fronte alla cascina da dove, qualificandosi come Carabiniere, invita il signor Caruso, proprietario dell'immobile, ad uscire per un controllo.

Da una finestra si affaccia una donna che subito rientra. Dopo qualche minuto si apre la porta e compare un uomo che invita i militari ad entrare. Catalaffi allora ripete il suo ordine e l'uomo per tutta risposta lancia una bomba a mano e richiude la porta.

La deflagrazione colpisce in pieno il tenente Rocca e Catalaffi. Rocca ha il braccio destra tranciato e gravi ferite all'occhio destro (perderà entrambi). Catalaffi è colpito da alcune schegge in modo non grave e riesce a sparare contro porta e finestre.
Passata la confusione, Catalaffi si accorge delle gravi condizioni del superiore e, anche se ferito, lo trascina verso la strada per oltre 100m nella speranza di trovare un automobilista per trasportare l'ufficiale in ospedale. Sopraggiunge subito una pattuglia dei carabinieri ma Rocca rifiuta i soccorsi ordinando loro di partecipare all'azione.

Nel frattempo, dopo aver lanciato un'altra bomba a mano senza conseguenze per i carabinieri, dalla cascina scappano un uomo ed una donna in direzions dei capannoni. D'Alfonso cerca di bloccarli, ma è subito colpito da una raffica di mitra a testa, torace ed addome. Prima di accasciarsi al suolo riesce a sparare tutto il caricatore della sua pistola contro l'auto su cui erano già saliti i due, ferendo probabilmente per due volte la donna.

I due tentano di fuggire in auto ma trovano la strada bloccata dalla vettura dei carabinieri. Cercano di passare tamponandola ma per l'urto finiscono fuori strada. Barberis era già li e spara contro l'auto. L'uomo all'interno allora grida: "Siamo feriti, ci arrendiamo!".
Barberisi di rimando ordina loro di uscire con le mani alzate.

Una volta fuori l'uomo, nascosto dalla donna, estrae un'altra bomba a mano e la lancia contro Barberis. Il carabiniere, mentre si ripara, riprende a sparare ferendo a morte la donna mentre la bomba esplode a pochi metri da lui.

L'uomo allora scappa e Barberis, recuperato un caricatore di D'Alfonso, cerca di inseguirlo ma il suo vantaggio è troppo grande e ne perde le tracce. Torna allora indietro per assistere il collega ferito.

Nel frattempo sopraggiunge un'autoradio con 3 altri carabinieri comandati dal vicebrigadiere Frati. Questi si occupa di ispezionare i locali non prima di aver lanciato un candelotto lacrimogeno nell'abitazione. Lì trovano il Vittorio Vallarino Gancia legato ed incappucciato.

Rocca è mutilato. D'Alfonso muore. La donna uccisa è Margherita "Mara" Cagol.

Al tenente Umberto Rocca sarà assegnata la Medaglia d'Oro al Valor Militare, l'unica conferita in tempo di pace ancora in vita. A Rosario Cattafi ed alla memoria di Giovanni D'Alfonso fu conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare. A Pietro Barberis, l'unico illeso, la Croce al Valor Militare.