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Risonaza magnetica

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Motivazione: titolo errato, Risonanza e non Risonaza e va unito alla voce Risonanza magnetica nucleare. Vedi anche: Progetto medicina e Portale medicina. Segnalazione di Hellis 16:26, 27 set 2006 (CEST)

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La Risonanza Magnetica

Nel 1924 Pauli scoprì il magnetismo nucleare. Nel 1946 l’equipe di Purcell e l’equipe di Block scoprirono il fenomeno della risonanza magnetica nucleare. Nel 1972, sfruttando i progressi matematici per la ricostruzione delle immagini, basati sulla trasformata di Fourier, Lauterbur associò lo studio di risonanza, fino ad allora utilizzato nell’osservazione di macromolecole chimiche, a distretti anatomici.

La RM si basa sulle proprietà intrinseche dei nuclei di alcuni elementi, con numero di protoni e di neutroni dispari (1H, 31P, 13C, 19F, 23Na), i quali possiedono la capacità di ruotare attorno a se stessi, capacità denominata “spin intrinseco”. Tale rotazione fa di questi nuclei dei microscopici magneti, definiti come dipoli o momenti magnetici nucleari.

Di questi in RM, è utilizzato il nucleo di 1H (o protone), per la sua maggiore presenza nei tessuti, e dunque per il maggior segnale che riesce a fornire, (oltre il 70% dei tessuti è composto infatti di acqua).

Questi protoni, sono però in condizioni di normalità, orientati in maniera del tutto casuale nello spazio, dunque è impossibile calcolare un vettore risultante che identifichi la somma dei loro momenti magnetici.

Ma in presenza di un campo magnetico esterno (che chiameremo B0), questi orientano il proprio asse di rotazione lungo l’asse di B0, come una trottola in movimento orienta il proprio asse lungo quello della forza di gravità.

Una volta orientati gli assi di tutti i protoni, sarà dunque possibile considerare un vettore risultante M (magnetizzazione risultante), che avrà la stesso verso del campo magnetico esterno B0.

Per la meccanica quantistica, ciascun protone, può avere solo due differenti livelli energetici (basso e alto), che corrispondono a due diverse modalità di orientamento lungo l’asse di B0, quelli con energia minore saranno paralleli a B0, quelli con energia maggiore saranno antiparalleli a B0;

si deve in oltre tener presente, che quelli paralleli, cioè con energia minore, sono di numero maggiore rispetto a quelli di energia maggiore, o antiparalleli, la differenza di numero è in realtà minima, da qui segue la scarsa sensibilità intrinseca della RM.

Tuttavia nonostante i protoni con verso parallelo a B0, siano di poco superiori agli altri, permettono comunque la misurazione macroscopica di un vettore risultante M, con direzione parallela a B0. Tale vettore M rappresenta la Magnetizzazione Longitudinale. Dunque la magnetizzazione longitudinale o magnetizzazione risultante M, è data soltanto dai protoni con orientamento parallelo all’asse di B0.

Tornando a ciascun nucleo dotato di spin, si deve osservare, che tutti possiedono una propria frequenza, definita frequenza di precessione o di Larmor, che dipende da due caratteristiche: 1. la costante giromagnetica tipica di ciascuna specie nucleare 2. l’intensità del campo magnetico esterno B0

Dunque nuclei dello stesso tipo avranno stessa frequenza di precessione, ma differente fase di precessione, cioè non saranno sincronizzati l’uno rispetto all’altro. L’intensità del campo è espressa nell’ordine di 1-3 TESLA, cioè migliaia di volte superiore a quella del campo magnetico terrestre misurato in superficie. (1 Tesla è uguale a 10000 Gauss).

Si è detto che in presenza di B0 tutti i protoni si orientano nel verso di B0 in maniera parallela e antiparallela, e che dunque si può considerare un vettore risultante dalla somma dei protoni con verso parallelo, cioè si è parlato in pratica di una magnetizzazione longitudinale. Ma presi singolarmente i protoni orientati dalla presenza di B0, non sono perfettamente paralleli a questo, ma differiscono di un certo angolo, che dovrebbe creare una magnetizzazione trasversale a B0, ciò non accade a causa delle differenti fasi di precessione dei vari nuclei, che annullano questo di tipo di magnetizzazione. Dunque nella fase di equilibrio, cioè nella fase di esposizione dei protoni a B0, manca una magnetizzazione trasversale. È invece presente solo una magnetizzazione longitudinale.

La fase di equilibrio può essere interrotta utilizzando un’onda elettromagnetica, che può determinare il cosiddetto fenomeno di risonanza. Il fenomeno di risonanza è il passaggio di energia tra l’onda elettromagnetica e il sistema di nuclei. Questo può avvenire, però soltanto se la frequenza dell’onda elettromagnetica è identica a quella del sistema di riferimento, cioè soltanto se è identica alla frequenza di precessione o di Larmor dei nuclei di 1H. Poiché tale frequenza di precessione dei protoni è dell’ordine di 6.4-64 MHz, l’onda elettromagnetica, che deve essere di identica frequenza, sarà una radiofrequenza. Si parla in realtà di impulso di radiofrequenza, poiché questo avviene nell’ordine di microsecondi e viene identificato con la sigla RF.

L’RF crea un campo magnetico perpendicolare a B0, e di intensità migliaia di volte inferiore a B0, ma comunque capace di determinare due situazioni differenti: 1. permette la sincronizzazione dello spin dei protoni, dando cioè a questi identica fase di precessione. 2. determina il passaggio di livello energetico, di quei nuclei con livello più basso verso un livello più alto, passando cioè da paralleli ad antiparalleli.

Cambia così il vettore risultante M (diminuisce la Magnetizzazione Longitudinale), che sarà differente a seconda dell’intensità di RF e del tempo di durata di RF. Tale vettore non sarà più parallelo all’asse di B0, ma assumerà angoli differenti (da 90° a 180°).

Un impulso di RF di 90° determina un numero identico tra nuclei con orientamento parallelo e nuclei con orientamento antiparallelo, ciò determina l’annullamento delle due quantità, cioè l’annullamento della magnetizzazione longitudinale. Prevale ora la Magnetizzazione Trasversale, possibile poiché la fase di precessione dei protoni è ora identica, cioè è possibile calcolare un vettore risultante della magnetizzazione trasversale, che precedentemente era incalcolabile, poiché impedita dalla mancata sincronizzazione dei vari spin. Anche tale magnetizzazione trasversale, vedrà la rotazione dei nuclei con frequenza di Larmor.

Per il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, qualsiasi circuito attraversato da un campo magnetico variabile nel tempo, determina una corrente elettrica misurabile. Questo è ciò che avviene con l’impulso di RF, che determinerà nei tessuti la presenza di un segnale definito segnale di risonanza magnetica o segnale di precessione libera o FID (Free Induction Decay). Ciò può avvenire solo nella Magnetizzazione Trasversale, poiché solo l’impulso RF che la determina è variabile nel tempo. Il magnete esterno infatti determina magnetizzazione costante nel tempo.

Nella pratica, bobine o antenne vengono disposte sul segmento anatomico da esaminare, da qui parte l’impulso RF che determina il segnale di risonanza magnetica, che viene ricevuto dalla bobina stessa. Una volta ricevuto tale segnale di precessione libera, viene campionato, cioè diviso per unità di tempo, e in seguito digitalizzato (convertito in valori numerici) e trasferito all’elaboratore. Il risultato sarà una curva che osserva il segnale di risonanza in associazione al tempo, ma tali informazioni non sono utili ai fini dell’imaging di RMN, entra dunque in gioco la trasformata di Fourier, che considera e analizza lo spettro delle frequenze del segnale di precessione libera. La trasformata di Fourier estrapola quindi dalla frequenza totale (o spettro) del segnale di RM, le varie frequenze che lo compongono, che andranno a costruire le immagini di RM.

Quando cessa l’impulso di RF, vengono a mancare quelle condizioni che lo stesso aveva determinato: cioè vi è una desincronizzazione degli spin protonici, e un ritorno a livelli energetici più bassi (di orientamento parallelo a B0) di quei protoni precedentemente eccitati. Ciò determina la cessazione della Magnetizzazione Trasversale e la ricomparsa della Magnetizzazione Longitudinale. Questi due fenomeni avvengono simultaneamente, e il tempo impiegato nel decadimento della magnetizzazione trasversale è denominato Tempo di Rilassamento Trasversale, o T2 o spin-spin, mentre il tempo impiegato nella ricostruzione della magnetizzazione longitudinale, è identificato come Tempo di Rilassamento Longitudinale, o T1 o spin-lattice.

T1 è dunque il tempo necessario affinché i protoni passino da uno stato energetico più alto (antiparallelo a B0) allo stato precedente all’impulso di RF cioè allo stato energetico basso (parallelo a B0). Per fare ciò i protoni devono però perdere l’energia acquisita in precedenza, cedendola al microambiente circostante, altrimenti definito lattice (da qui Tempo di Rilassamento spin-lattice).

Tutto ciò determina il recupero della magnetizzazione longitudinale, ma questo non avviene immediatamente: dopo un tempo T1 la magnetizzazione longitudinale sarà del 63%, dopo due T1 sarà del 86%, dopo tre del 95%, e solo dopo 5 T1 del 100%. Il ripristino della Magnetizzazione Longitudinale è dunque una funzione di tipo esponenziale.

La velocità del tempo T1, dipende infatti dalla velocità con cui il lattice riceve l’energia ceduta, ciò è correlato alla frequenza di oscillazione del campo magnetico del microambiente (lattice), la velocità di aquisizione dell’energia da parte del lattice, aumenta all’avvicinarsi della sua frequenza a quella di Larmor, e dipende dai movimenti termici casuali delle molecole (movimenti Browniani), cha ancora dipendono dalla grandezza delle molecole stesse. Molecole piccole come quelle dell’acqua, avranno velocità elevata, dunque frequenza di oscillazione simile a quella di Larmor, dunque determineranno T1 brevi (circa 3 secondi), differentemente molecole grosse come il DNA daranno T1 molto lunghi.

Molecole intermedie come i lipidi, che hanno invece frequenza quasi uguale a quella di precessione dei nuclei di idrogeno, daranno T1 brevissimi nell’ordine di microsecondi. La velocità di T1, dipende inoltre dall’intensità del campo magnetico esterno B0, e aumenta all’aumentare di esso.


T2 rappresenta il tempo impiegato dai nuclei per desincronizzarsi, cioè il decadimento della Magnetizzazione Trasversale. Ciascun nucleo è però influenzato oltre che dal campo magnetico esterno, anche dai campi magnetici dei nuclei vicini, ciò determina un’ulteriore variazione della fase di precessione dei singoli nuclei, dunque l’accelerazione della perdita di sincronizzazione dello spin intrinseco. T2 dipende dunque dai momenti magnetici vari nuclei o spin (da qui Tempo di Rilassamento spin-spin). Anche in questo caso dopo un primo tempo T2 della Magnetizzazione Traversa e del Segnale di Risonanza rimarrà il 37% , dopo 2 T2 rimarrà il 14% del valore iniziale, dopo 3 T2 rimarrà il 5%, dopo 5 T2, decadrà il 100% del Segnale di Risonanza e della Magnetizzazione Traversa iniziale. Anche in questo caso si avrà dunque un andamento di tipo esponenziale.

Ma la situazione in cui il Rilassamento T2 è determinato solo dalle interazioni tra i vari nuclei è una condizione che non corrisponde alla realtà. Poiché variazioni, se pur minime, di B0 sono presenti, queste disomogeneità producono delle accelerazioni nella desincronizzazione dei nuclei, che non si riscontrerebbero in una condizione di ipotetica omogeneità di B0. Questa condizione è denominata T2*, per differenziarla dalla condizione ideale T2, che si presenterebbe in presenza di un campo magnetico esterno perfettamente omogeneo, in cui la desincronizzazione nucleare (dunque il decadimento della Magnetizzazione Traversa) avviene solo ad opera spin-spin, cioè solo grazie all’interazione dei nuclei. È comunque possibile ricavare T2 da T2*, poiché le disomogeneità di B0 sono costanti nel tempo, dunque facilmente quantificabili, in contrapposizione con la casualità delle interazioni spin-spin. Il ricavo di T2 da T2* lo si ottiene mediante impulsi di radiofrequenza, in sequenze denominate Spin Echo (si veda oltre).

L’efficienza del rilassamento T2 dipende dall’intensità dei campi magnetici che si verificano a livello molecolare. Molecole di grandi dimensioni, a causa della minore mobilità creano campi magnetici maggiori di quelli indotti da molecole più piccole. Di conseguenza molecole più grandi hanno tempi di rilassamento T2, o spin spin, più brevi, poiché il campo magnetico da esse generato è più intenso.

T2 può essere uguale o inferiore a T1, entrambi dipendono dalla mobilità molecolare, ma in maniera inversa. Quando la mobilità è bassa, ad esempio in solidi a basse temperature, T1 è nell’ordine di secondi, mentre T2 nell’ordine di microsecondi, poiché come visto: bassa mobilità determina alti campi magnetici dei tessuti, dunque accelera i tempi di rilassamento T2 ma rallenta i tempi di rilassamenti T1, poiché tali tempi sono accelerati da frequenze elevate (simili a quelle di Larmor), che invece si presentano in molecole piccole.



Le Sequenze

L’immagine di risonanza magnetica viene dunque prodotta dal segnale emesso (per induzione elettromagnetica) dopo l’impulso di radiofrequenza. L’ampiezza dei segnali generati è dipesa sia dal numero di protoni per unità di volume, cioè dalla Densità Protonica, sia dai differenti tempi di recupero della magnetizzazione longitudinale, e di perdita della magnetizzazione trasvesale delle varie specie nucleari; (dipende cioè dai differenti T1 e T2 dei tessuti). Poiché per i diversi tipi di tessuti la densità protonica è più o meno la stessa, il contrasto dell’immagine è generato, quasi esclusivamente dai T1 e T2 tessutali. Esistono numerose sequenze capaci di esaltare i T1 o i T2 dei vari tessuti. Per sequenza si intende una serie di impulsi di radiofrequenza, emessi a tempi di ripetizione (TR) prestabiliti. Le principali sequenze sono: · FID o Satutation Recovery o Partial Saturation · Inversion Recovery (IR) · Spin Echo (SE)

Più una serie notevole di altre sequenze più o meno complesse utilizzate per studi anatominci specifici.

FID Si tratta della sequenza più semplice, è formata infatti da una serie di impulsi di radiofrequenza a 90°, intervallati in maniera identica l’uno dall’altro. Ciacun impulso ha dunque la durata sufficiente per far ruotare i momenti magnetici dei nuclei in precessione (in sincronia) di 90°, cioè da un asse parallelo a B0 fino a raggiungere il piano trasverso x, y. Terminato ciascun impulso: 1. i protoni, emetteranno per il fenomeno dell’induzione elettromagnetica un segnale di RMN nell’antenna ricevente. 2. cominceranno a perdere la magnetizzazione trasversa acquisita con l’impulso (comincerà cioè il T2), e cominceranno a riacquistare la magnetizzazione longitudinale, in attesa del prossimo impulso di radiofrequenza che determinerà nuovamente le condizioni sopra descritte.

I vari segnali di RMN verranno poi campionati ed elaborati e produrranno un segnale di intensità variabile nell’immagine ricostruita. Tale variabilità del segnale è dipesa dalla sua intensità, che a sua volta è associata alle capacità differenti dei nuclei di riacquistare la propria magnetizzazione longitudinale (T1 brevi o lunghi).

In pratica, una volta terminato un impulso di RF, decade la magnetizzazione trasversale e si comincia a recuperare quella longitudinale, ma se dopo un determinato tempo di ripetizione (TR) viene emesso un altro impuso di RF a 90°, il segnale ragistrato sarà più intenso per quei tessuti che sono stati capaci di riacquistare maggiormente la magnetizzazione longitudianle (cioè hanno T1 brevi), mentre sarà inferiore o nullo per quei tessuti con T1 lungo, inquanto nel tempo compreso tra i due impulsi (TR) non sono stati capaci recuperare la propria magnetizzazione longitudinale; tali tessuti sono detti parzialmente saturati (da qui Partial Saturation).



I segnali intensi iconograficamente appaiono come chiari, quelli ipointensi come scuri. È logico che a TR lunghi tutti i tessuti avranno la possibilità di riacquistare la magnetizzazione longitudinale, dunque le immagini ottenute risulteranno pesate soltanto rispetto alla densità protonica, poiché si ricorda che l’intensità del segnale dipende anche dal numero di protoni per unità di volume. Al contrario TR brevissimi mi daranno immagini soltanto “pesate in T1” cioè verranno rappresentati solo i tessuti con T1 brevi.


Inversion Recovery (IR)

Anche tale sequenza dipende quasi esclusivamente dai T1 tessutali, e a differenza della FID è molto più utilizzata. Consiste in una coppia di impulsi RF, di cui il primo è a 180° e il secondo a 90°. Il tempo che intercorre tra i due impulsi è definito TI (ti). (tempo tra due impulsi = TI

tempo tra due coppie di impulsi = TR) 

Dopo il primo impulso (cioè di 180°) viene ruotata la magnetizzazione longitudinale da parallela a B0 ad antiparallela, terminato l’impulso, comincerà prima un tempo in cui si va ad azzerare la magnetizzazione longitudinale negativa (fino allo zero), e poi si comincerà a riacquistare quella positiva.



Durante questo processo non è generato nessun segnale poiché siamo nel campo di una magnetizzazione longitudinale negativa, quando però applichiamo il secondo impulso (di 90°) dopo un tempo TI , questo ruota magnetizzazione longitudinale presente in quell’istante lungo il piano x, y, con la conseguente produzione del segnale di RMN.

Questa sequenza è utile qualora si vogliano sopprimere i segnali di alcuni tessuti, poiché è possibile applicare l’impulso di 90° quando alcuni tessuti hanno ancora magnetizzazione longitudinale negativa, cioè prima che tali tessuti abbiano superato il punto 0, utilizzando cioè tempi TI (ti) molto brevi, in questo modo questi tessuti non produrranno alcun segnale, e verranno invece esaltati i segnali degli altri tessuti che hanno T1 più brevi. In pratica per ogni tessuto esiste un certo valore di TI (ti), cioè di tempo tra l’impulso di 180° e quello di 90°, capace di annullare il segnale del tessuto stesso. Per esempio, con TI nell’ordine di 100 millisecondi si annulla il segnale del tessuto adiposo, utile per evitare artefatti da esso prodotti in fase respiratoria. Con TI molto brevi la IR prende il nome di STIR (cioè Short TI Inversion Recovery) Un’altra variante dell’IR è la FLAIR (Fluid Attenuated Inversion Recovery) capace di eliminare il segnale del liquor cerebrale, applicando l’impulso di 90° quando la magnatizzazione longitudinale del liquor ha raggiunto valore zero.


Spin Echo (SE)

Tale sequenza è di gran lunga la più utilizzata nell’imaging clinica. È una sequenza molto flessibile capace di determinare immagini sia pesate in T1 che in T2 che in Densità Protonica. Anche in questo caso si utilizzeranno coppie di impulsi, ma il primo sarà a 90° e il secondo a 180°.

Con l’impulso di 90° la magnetizzazione si sposta da un piano parallelo a B0 nel piano x,y perpendricolare a B0, determinando una magnetizzazione trasversale. Terminato l’impulso comincia il tempo T2, cioè si desincronizzano i nuclei messi in stessa fase di precessione dall’impulso di RF. Come detto questa desincronizzazione dipende sia dall’interazione tra i vari dipoli magnetici (spin-spin), sia da una disomogeneità del campo magnetico esterno B0. Dopo un dato tempo TI (ti) viene applicato il secondo impulso di 180° che inverte il senso di rotazione dei nuclei. In pratica: i nuclei che più velocemente si stavano desincronizzando e che dunque stavano riottenendo la magnetizzazione longitudinale, vengono a troversi dopo l’impulso di 180° dietro a quelli che erano ultimi nella desincronizzazione. In altre parole i nuclei o spin possono essere paragonati a dei corridori che finito l’impulso di 90° partono in direzione dell’asse Z, alcuni i più veloci (A) sono più vicini all’asse Z altri i più lenti (B) sono più lontani. Ad un certo punto della corsa viene impartito l’ordine di invertire la marcia con l’impulso di 180°, gli ultimi (B) dunque risulteranno i primi e viceversa quelli che in precedenza erano primi (A) risulteranno gli ultimi, ma gli “A” essendo più veloci dopo il termine dell’impulso di 180° riacquisteranno terreno rispetto ai “B” riallineandosi di nuovo a questi dopo un tempo pari a 2TI, altrimenti detto TE (Tempo di Eco), tutti i nuclei si trovano ora di nuovo in fase e può comparire un segnale definito eco.


Il secondo impulso cioè quello di 180° è un impulso sincronizzante, poiché permette la resincronizzazione degli spin dei vari nuclei, che andavano desincronizzandosi dopo l’impulso di 90°, ognuno con la propria velocità di desincronizzazione (T2). Ma come detto T2 oltre a dipendere dal rapporto dipolo-dipolo o spin-spin, dipende anche dalla disomogeneità, comunque presente del campo magnetico esterno B0. L’impulso di 180° dunque, elimina l’influenza di tale disomogeneità.

Pertanto l’intensità del segnale prodotto dalla RF di 180°, cioè l’eco, dipende dalla quantità del decadimento della magnetizzazione trasversale avvenuta in un dato tempo TI, dipende cioè dai vari T2 tessutali. I vari tessuti infatti hanno diversi T2 e dunque generano tempi di eco di differente intensità. Tessuti con T2 lunghi determineranno echi intensi, rappresentati con tonalità chiare. Tessuti con T2 brevi determinano invece echi deboli, rappresentati con tonalità scure.

Il TE è come detto il tempo di comparsa del segnale di eco ed è uguale a 2TI, nella pratica si utilizzano TE compresi tra 15 e 160 millisecondi. Incrementando TI si ottengono aumenti di contrasto tra tessuti con differenti T2, cioè immagini pesate in T2, date cioè da quei nuclei che ancora conservano una certa sincronizzazione. Incrementando TI però sempre più nuclei si saranno desincronizzati, dunque soltanto pochi di questi avranno ancora magnetizzazione trasversa, qundi il segnale emesso risulterà debole, diminuirà cioè il rapporto segnale rumore. Viceversa diminuendo il tempo TI (è identico dire: diminuendo il tempo TE) si avranno immagini meno pesate in T2 e più pesate in T1.

Riassumendo: Diminuendo il tempo TE (2TI) si ottengono immagini T1 pesate, Aumentando il tempo TE si ottengono immagini T2 pesate.



Con TR > di T1 e TE brevi si ottengono immagini date dalla densità protonica, poiché: TR è maggiore di T1 dunque tutti i nuclei possono riacquistare la magnetizzazione longitudinale, dunque immagini non pesate in T1, ma il TE breve non mi darà neanche immagini pesate in T2, poiché pochi saranno i nuclei che si desincronizzano così velocemente, dunque si avranno immagini pesate per densità protonica. Viceversa con TR inferiore a T1 le immagini saranno ancora più T1 dipendenti poiché pochi tessuti riusciranno a riacquistarre la magnetizzazione longitudinale.


Fast Spin Echo (FSE)

È una modifica della classica SE a cui ad ogni impulso di 90° seguono una serie di impulsi di 180°, ciascuno dei quali produrrà un eco, ciascuno di tali segnali verrà poi codificato a formare l’immagine. In altre parole, mentre con la SE dopo ciscun tempo TR, si considera per la ricostruzione dell’immagine il segnale emesso dopo l’impulso (che è unico) di 180°, con la FSE se ne considerano diversi, cioè si codificano più linee, con la conseguente riduzione della durata dell’esame. L’esasperazione di tale tecnica è la cosiddetta Eco Planar, in cui in un solo tempo TR si acqusisce l’immagine, applicando un solo impulso a 90° e un treno di impulsi a 180°.


I Gradienti Magnetici

Il segnale di risonanza ottenuto dopo l’impulso di RF, non dà di per se informazioni circa la disposizione spaziale dei vari nuclei dei segmenti anatomici in esame. Per ottenere tali informazioni si fa uso dei Gradienti Magnetici. Per comprendere tale concetto si deve considerare che: · per localizzare spazialmente un qualsiasi punto, si ha la necessità di ricorrere a tre piani dello spazio x, y e z · la frequenza di precessione dei protoni è, come è stato detto, data sia dalla costante giromagnetica, che dall’intensità del campo magnetico esterno B0.

Come detto, B0 è più o meno omogeneo, pertanto introducendo delle disomogeneità controllate in B0, secondo i tre piani dello spazio, è possibile far risuonare i nuclei a frequenze diverse, da noi stabilite, atte a farci identificare la localizzazione spaziale dei nuclei ai quali sono applicate tali disomogeneità.

Questi campi magnetici variabili, prendono il nome di Gradienti Magnetici, e vengono misurati in Gauss per centimetro, o Tesla per metro. Poiché per definire un punto nello spazio abbiamo bisogno di tre piani (x, y, z), i gradienti applicati saranno 3: GX, GY e GZ.

Le componenti del segnale di RM emesso dopo l’impulso di RF sono: frequenza, fase di precessione e ampiezza. Con l’utilizzo di tali gradienti queste componenti derivanti dal solo tessuto in esame, saranno modificate omogeneamente, permettendo la localizzazione spaziale dei nuclei di tali tessuti.

Il segnale di RM ottenuto, dunque oltre a contenere informazioni circa la densità protonica, i tempi T1 e T2 dei tessuti che l’hanno generato, avrà anche informazione circa la localizzazione spaziale dei nuclei di interesse.

I gradienti si ottengono con bobine interne a B0 poste l’una di fronte all’altra, attraverso la quale è fatto passare un campo elettrico, che altera, anche se in minima parte il campo magnetico esterno B0. Dalle prestazioni dei Gradienti Magnetici, dipendono le prestazioni dell’intero sistema.


Mezzi di Contrasto per Risonanza Magnetica

Anche se la RM è già dotata di un’ottima risoluzione di contrasto, questa può ulteriormente essere migliorata con l’utilizzo dei mezzi di contrasto.

Le immagini di RM sono date da parametri da noi variabili, cioè TE, TI, e TR; e da paramentri tipici di ogni tessuto, cioè T1 e T2, invariabili senza MDC.

È proprio infatti compito di tali MDC (paramagnetici e superparamagnetici) influenzare tali tempi di rilassamento; accorciando i tempi di rilassamento dei protoni attraverso un effetto elettromagnetico sul mezzo circostante, sono quindi più dei modificatori di segnale che non mezzi di contrasto.

· I paramagnetici, come quelli basati sul Gadolinio, abbreviano sia T1 che T2 (principalmente il T1). · I superparamagnetici, come per esempio l’ossido di ferro (Fe3O4) agiscono esclusivamente sul T2.


I Paramagnetici Sono dette paramagnetiche quelle sostanze che, essendo dotate di elettroni spaiati, sono facilmente spinte a farsi magnetizzare. Il gadolinio è tra queste quello più utilizzato, i suoi ioni metallici liberi sono però dannosi e tossici poiché possono legarsi agli atomi di ossigeno, azoto o zolfo delle molecole proteiche, dunque vengono accoppiati con chelanti quali DTPA, DOTA ecc.

L’accorciamento dei tempi di rilassamento è dovuto al fatto che tali sostanze possiedono, a livello molecolare, campi magnetici locali che aumentano la risposta dei tessuti ai quali sono sottoposti, addizionadosi all’azione del campo magnetico esterno. A differenza delle altre metodiche in RM non si osservano i tessuti opacizzati dal MDC, ma si osserva l’effetto magnetico di questo sui tessuti raggiunti.

Più precisamente i paramagnetici agiscono sul T1 con piccole concetrazioni, con conseguente aumento del segnale, e sul T2 a concetrazioni più elevate. Ciò logicamente dipende dalla quantità di contrasto somministrato, e poiché tali quantità somministrabili sono nell’ordine di 0.1 – 0.2 millimoli/Kg, cioè minime, si può dire che i paramagnetici agiscono quasi esclusivamente sul T1.



Il Gd-DTPA: · Non supera la barriera ematoencefalica intatta · A rarissimi effetti collaterali rari · Può indurre cefalea e sensazione di calore · Viene eliminato per via epato-biliare


I Superparamagnetici Si definiscono tali quelle sostanze facilmente spinte ad essere magnetizzate, molto più di quelle paramagnetiche. Più importante tra queste è l’ossido di ferro o magnetite, la somministrazione di questo MDC produce a differenza del gadolinio un marcato accorciamento del T2. L’accorciamento del tempo T2, determina una desincronissazione più veloce, dunque diminuzione del segnale, poiché solo pochi protoni (quelli con lungo T2) saranno ancora sincronizzati, ciò determina la classificazione come negativi di tali MDC.


Riassumendo: · Paramagnetici che agiscono sul T1 accorciandolo (vengono definiti positivi, poiché amplificano il segnale dato dai vari T1).

· Superparamagnetici che agiscono sul T2 (riducendo il segnale, dunque sono definiti negativi).


Esistono poi MDC Diamagnetici che non hanno suscettibilità magnetica (es. acqua, la quale in T1 dà segnale ipointenso e in T2 iperintenso). Queste non possiedono elettroni spaiati negli orbitali esterni, di conseguenza sono prive di influenza sul magnetismo circostante ma agiscono sulla densità protonica aumentandola.


La Spettroscopia con Risonanza Magnetica (MRS)

È l’unica metodica non invasiva capace di valutare quantitativamente le sostanze chimiche contenute in un organismo.

Come detto l’intensità del campo magnetico a livello nucleare, dipende dall’intensità del campo B0, tuttavia, una piccola parte del campo magnetico nucleare dipende anche dagli elettroni che circondano quello stesso nucleo ed i nuclei adiacenti.

Questa leggera modificazione del campo magnetico nucleare prende il nome di Chemical Shift (Spostamento Chimico), ciò significa che i nuclei di un dato elemento risuonano a frequenze leggermente differenti a seconda della natura della molecola in cui si trovano. Tale Chemical Shift consente di individuare l’analisi dello spettro di frequenze di differenti molecole, per esempio i differenti gruppi chimici contenenti idrogeno all’interno di una proteina.

Il segnale analizzato, che è molto intenso se si considera l’H, è più debole con specie atomiche come Carbonio 13, Sodio 23, Fosforo 19 o altri protoni che non sono contenuti nella molecola d’acqua, ma comunque tale da permettere di ottenere la rappresentazione grafica della concentrazione di questi elementi in un determinato metabolita. La spettroscopia genera un segnale di spettroscopia con propria frequenza di risonanza che viene misurata in parti per milione (ppm).

Questo sistema dunque consente di effettuare studi di tipo metabolico valutando la presenza e la concentrazione di alcune sostanze, che possono essere presenti in condizioni fisiologiche o patologiche.

Le caratteristiche di acquisizione per fare questi studi devono però comprendere un elevato rapporto segnale/rumore, che abbiamo con intensità di campo elevato, non meno di 1.5 Tesla.

Importante, dal punto di vista metodologico, è la corretta organizzazione del volume di studio:

Tale studio parte sempre da una Survey (scanogramma), · ad esempio con la tecnica Single Voxel abbiamo su un’immagine di RM due tipi di lesioni, mettiamo una ROI sul singolo voxel e chiediamo lo spettro del protone, del fosforo, ecc., della regione di studio, ed eventualmente si confrontano le misure delle lesioni con quelle del tessuto normale.

· nella tecnica Multi Voxel si esegue un campionamento multiplo su volumi divisi in tanti voxel e ad ogni voxel corrisponde uno spettro. (in questo caso non abbiamo bisogno di fare un volume di controllo, cioè del tessuto normale perché consideriamo più voxel).

Trattandosi di acquisizioni simultanee di spettri, possiamo studiare più componenti, quindi dal punto di vista spaziale possiamo fare dei rilievi in zone specifiche a seconda del posizionamento.

Con un apparecchio a 3 Tesla, rispetto auno a 1.5 Tesla, riusciamo ad avere un migliore rapporto segnale/rumore e a separare maggiormente i picchi, aumenta in pratica il Chemical Shift.

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