Camelus dromedarius
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Dromedario Stato di conservazione: Sicuro |
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Classificazione scientifica | ||||||||||||||||||
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Nomenclatura binomiale | ||||||||||||||||||
Camelus dromedarius Linnaeus,, 1758 |
Il dromedario (Camelus dromedarius) è un artiodattilo della famiglia dei Camelidi, diffuso in Asia, Africa settentrionale e, per intervento umano, anche in Australia (nel Medioevo anche nella Sicilia musulmana e in al-Andalus).
In base ai resti fossili ritrovati, l'animale popolava alcuni millenni or sono anche l'America settentrionale ma è assai probabilmente nella Penisola Araba che il dromedario fu addomesticato nel tra il IV e il V millennio a. C. Qui esso divenne cavalcatura, animale da soma, produttore di latte, carne e pelle: prodotti essenziali tutti ai beduini che nomadavano nella steppa (bādiya) e nei deserti rocciosi ( sakhrā') o sabbiosi (raml, pl. rimāl) peninsulari, tanto che gli studiosi credono che senza tale addomesticamento la vita umana in quegli ambienti sarebbe stata decisamente più limitata e difficoltosa.
Secondo un noto adagio l'uomo sarebbe così diventato il "parassita" del suo dromedario che, con altrettanto nota espressione araba, fu definito safīnat al-barr, ovvero "nave del deserto", per la sua capacità di percorrere lunghe distanze su terreni abbastanza accidentati e in carenza di alimenti solidi e liquidi. Il dromedario, purché il terreno non sia troppo rotto, è in grado di percorrere fino a 150 Km. in 15-20 ore, a una velocità che può oscillare fra i 8 e i 20 km. orari, sopportando un carico che può arrivare a 150-200 Kg (A. Musil, a p. 145 dell'opera sottocitata, parla di eccezionali percorrenze di 160 miglia giornaliere, dunque tra i 250 e i 260 km).
La sua peculiarità più conosciuta è la sua capacità di resistere alla sete fino a circa 8 giorni, a causa della particolare struttura del suo organismo. Esso è infatti in grado di evitare la dispersione dell'ettolitro circa d’acqua – che riesce a bere in appena dieci minuti – grazie al peculiare addensamento del plasma sanguigno che riesce a dilatare i globuli rossi fino a 250 volte i suoi valori consueti.
La traspirazione, già di per sé assai limitata per via della particolare struttura dell'epidermide, può essere ancor più rallentata dall’ingestione di vegetali spontanei della steppa, talmente ricchi di sali minerali da avvelenare qualsiasi essere umano. Essi fanno infatti aumentare la pressione osmotica delle cellule dell'animale, impedendo l’evaporazione dei liquidi organici e consentendo quindi una sopravvivenza supplementare di 4-5 giorni del dromedario.
Il suo organismo è altresì in grado di sopportare un aumento della propria temperatura corporea fino a 6-7 gradi centigradi, senza che questo comporti dispersione di liquidi, mentre un'altra fondamentale caratteristica è quella di limitare al massimo l’espulsione dei propri liquidi organici malgrado la forte carica di tossine, grazie al fatto che l’urea prodotta dal fegato non viene filtrata dai reni per la successiva espulsione, tornando invece per via sanguigna allo stomaco per entrare nuovamente in circolo. Se anche questo non bastasse si deve ricordare infine che il dromedario riesce a metabolizzare il grasso del proprio organismo (in particolare della gobba) e a produrre idrogeno che, con l’ossigeno dell’aria, riesce a creare acqua in ragione di 1 litro di liquido per 1 chilo di lipidi.
Dotato di udito e olfatto oltremodo fini (i nomadi ne lodano anche la vista), il dromedario può avvertire la presenza di acque sotterranee tanto da rendere preziosi servigi in ambienti aridi.
Di esso si utilizza pressoché tutto: carne (di alta digeribilità), grasso (particolarmente apprezzato quello della gobba), latte (da 2 a 14 litri al giorno), pelle (assai elastica e morbida), pelo (lavorato per produrre pregiati tessuti) e finanche sterco (mescolato con paglia e disseccato al sole per essere impiegato come combustibile nelle fredde notti della steppa).
In tempi relativamente recenti il dromedario è impiegato anche come animale da corsa (famosa la razza sud-arabica della regione del Mahra, che dà origine al dromedario da corsa il nome mehari (arabo mahrī, "del Mahra") e, a tal fine, nei paesi del Golfo Persico sono organizzati percorsi rettilinei (il dromedario non ama, in corsa, effettuare rapide evoluzioni o curvare) della lunghezza fino a 28 chilometri per gare che richiamano un gran pubblico di appassionati.
La riottosità dell'animale ad evoluire non lo rende in genere ideale (al contrario di quanto si crede) per l'impiego bellico e ad esso si è preferito, quando possibile, il cavallo. Nelle età antiche della civiltà araba i guerrieri giungevano pertanto sui luoghi della battaglia cavalcando il dromedario e trascinandosi dietro il cavallo, per montare questo al momento del combattimento.
Il manto del dromedario può assumere le più diverse sfumature del beige, giungendo a tonalità assai scure, fin quasi al nero, o, al contrario, assai chiare, fino al bianco. Rinomate sono le femmine, anche per la loro capacità lattifera e per il carattere meno irrequieto. Quanto al lessico, il vocabolario arabo contempla circa 160 sinonimi per identificare i dromedari - dal genrico termine jamal (pl. jimāl) al collettivo ibil - in funzione del sesso, dell'età o del colore del manto: cifra ancor più alta pertanto di quella assai consistente riservata al cavallo, altro animale assai amato dalla cultura araba. L'arco arco di vita del dromedario giunge fino ai 40-50 anni.
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[modifica] Bibliografia
- A. Musil, Northern Negd, New York, 1928.
- Jän Retsö, “The Earliest Arabs”, Orientalia Suecana, XXXVIII-XXXIX (1989-1990), pp. 131-139.
- IDEM, “The Domestication of the Camel and the Establishment of the Frankincense Road from South Arabia”, Orientalia Suecana, Vol. XL (1991), pp. 187-219.
- Charles Pellat, “Sur quelques noms d'animaux domestiques en arabe classique”, GLECS, VIII, pp. 95-99.
- Francesco Gabrieli (ed.), L'antica società beduina, Roma , Università di Roma, 1959.
- Commandant Cauvet, “Le dromadaire d'Afrique”, Bull. de la Soc. Géog. d'Alger, 1920
- IDEM, Le chameau, Parigi, J.B. Baillière et fils, 1925.
- IDEM, Le chameau, histoire, religion, littérature, Parigi, 1926.
- Elian-J. Finbert, La vie du chameau, Parigi, Albin Michel, 1947.
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