Alfonso La Marmora
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Alfonso Ferrero La Marmora (Torino, 17 novembre 1804 - Firenze, 5 gennaio 1878) fu un generale e uomo politico dell'Italia risorgimentale.
[modifica] Biografia
Diplomato presso l'Accademia militare di Torino nel 1822, dopo alcuni viaggi di studio compiuti per tutta l'Europa, nel 1823 fu incaricato dal re di Sardegna Carlo Alberto di dirigere il rammodernamento dell'artiglieria sarda. Nel 1848 ottenne il grado di colonnello e la medaglia d'argento durante l'assedio di Peschiera. Il 5 agosto 1848 liberò Carlo Alberto dai rivoluzionari milanesi. Nel mese di ottobre dello stesso anno, venne promosso generale e successivamente divenne ministro della guerra con il gabinetto Pinelli, carica riottenuta nel 1849 con Vincenzo Gioberti.
Dopo la sconfitta di Novara fu inviato a Genova come commissario reale. Nell'aprile del 1849 sedò una breve ribellione ma al prezzo di una dolorosa repressione: al termine della rivolta si contarono più di 450 morti. Dopo questa dura repressione fu promosso tenente generale.
Con D'Azeglio e Cavour fu nominato nuovamente ministro delle guerra e riorganizzò l'esercito rendendolo forte e flessibile, nonostante il ridotto numero degli effettivi.
Nel 1855 fu al comando della spedizione di Crimea, distinguendosi nel combattimento della Cernaja.
Una volta firmata la pace venne promosso generale di armata. Combatté a San Martino nel 1859 contro l'esercito austriaco. Dopo l'armistizio di Villafranca fu per sei mesi Presidente del Consiglio, in sostituzione di Cavour che si era dimesso.
Nel 1860 fu inviato a Berlino e San Pietroburgo con il compito di ufficializzare il riconoscimento del Regno d'Italia presso gli altri paesi europei. Successivamente ottenne la carica di governatore di Milano. Nel 1861 venne nominato prefetto di Napoli e comandante della città, dove combatté il brigantaggio.
Il 15 settembre 1864 il capo del governo Marco Minghetti sottoscrisse una convenzione franco-italiana, in forza della quale otteneva da Napoleone III il ritiro della guarnigione francese da Roma, ma accettava di trasferire la capitale da Torino a Firenze. Il Re licenziò Minghetti con un telegramma e, il 28 settembre 1864, lo sostituì con il La Marmora. Nel corso del suo governo egli trasferì la capitale in tempo record (3 febbraio 1865) ed ottenne dalla Spagna il riconoscimento del Regno d'Italia.
Nel 1865 rassegnò le dimissioni, ma subito dopo per ordine del re si ritrovò a dover formare un nuovo ministero: durante la carica di primo ministro stipulò un trattato d'alleanza con la Prussia (1866) e, pur di rimanere coerente ad esso, rifiutò l'offerta austriaca del Veneto in cambio della neutralità italiana nella guerra del 1866.
Il 17 giugno 1866 lasciò il governo per entrare in guerra con la carica di comandante dell'esercito, ma, a causa della perdita della guerra culminata nella sconfitta di Custoza del 23 giugno 1866, ne fu esonerato durante l'armistizio di Cormons (12 agosto 1866). Fu ancora a capo del corpo d'armata di Firenze per un breve periodo, dove nel frattempo era stata trasferita la capitale.
Dopo la presa di Roma fu primo luogotenente del re d'Italia nei territori ex-pontifici. Infine si ritirò a vita privata. Morì a Firenze il 5 gennaio 1878. Venne sepolto a Biella nella chiesa di San Sebastiano.
[modifica] Opere
Tra le sue opere più rappresentative possiamo ricordare:
- Un episodio del Risorgimento italiano (1849),
- Segreti di stato nel governo costituzionale (1877),
- Un po' più di luce sugli eventi politici e militari del 1866 (postuma, 1879).
Predecessore: | Presidente del Consiglio del Regno d'Italia | Successore: | |
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Marco Minghetti | settembre 1864 - giugno 1866 | Bettino Ricasoli | I |