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Operazione Allied Force

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Conseguenze di un attacco contro un ponte
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Conseguenze di un attacco contro un ponte

Operazione Forza Alleata o in inglese Operation Allied Force è il nome della campagna di attacchi aerei portata avanti dalla NATO per circa due mesi contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Milošević, con l'intento di ricondurre la delegazione serba al tavolo delle trattative, che aveva abbandonato dopo averne accettato le conclusioni politiche, e di contrastare l'operazione di spostamento delle popolazione del Kosovo allo scopo di predisporre una sua spartizione tra Serbia e Albania. L'esistenza di un piano predisposto a tale scopo non è mai stata provata con sufficiente certezza, ma resta un fatto che appena iniziarono le incursioni aeree NATO l'esercito serbo iniziò operazioni volte ad ottenere esodi massicci e compì in taluni casi dei veri massacri.

Durante questi mesi si è sviluppata una serie molto intensa di attacchi aerei partiti dall'Italia e da navi nell'Adriatico (in un secondo momento anche dall'Ungheria), contro la presenza militare serba in Kosovo e contro la capacità bellica serba, con una scelta degli obiettivi ad ampio spettro e con interventi "dissuasivi" ed intimidatori nei confronti della popolazione allo scopo di esercitare una pressione su Milošević; tra questi il bombardamento delle centrali elettriche (soprattutto con bombe alla grafite, ad effetto "psicologico", che non provocano danni permamenti ma prolungati blackout), ed il bombardamento della sede della televisione serba a Belgrado.

Questa è la seconda azione militare della NATO dopo l'Operazione Deliberate Force nel 1995 e la prima contro un Stato indipendente.

Indice

[modifica] Antefatto

Per approfondire, vedi la voce Guerra del Kosovo.

Le origini della crisi in Kosovo risalgono alla revoca delle autonomie della regione del governo presediuto da Slobodan Milošević, presidente della Serbia, nel 1989. Al seguito della revoca delle autonomie e di una ventata di nazionalismo serbo che minacciava la minoranza etnica albanese-kosovara, il leader del partito LDK (Lega Democratica del Kosovo), Ibrahim Rugova, promosse forme di resistenza non-violenta, rivendicando il ripristino dell'autonomia del Kosovo che era garantita nella Repubblica Federativa Jugoslava di Tito (una repubblica federativa con diritto di secessione unilaterale).

Dal 1995 alla protesta non-violenta si aggiunse una resistenza di guerriglia, da parte del neonato UÇK, sorto poco dopo la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina e infiltrato anche da veterani musulmani, anche croati. Questo movimento di guerriglia, inizialmente poco operativo, emerse allo scoperto nell'aprile 1996 con alcuni omicidi e con attentati (inclusa la distruzione di raccolti) contro cittadini d'etnia serba; l'UÇK mirava all'indipendenza completa del Kosovo, in polemica con Rugova.

L'UÇK si distinse sin dalle sue origini per infiltrazioni fondamentaliste islamiche e per connessioni - documentate presso l'Interpol - con traffici illeciti nel campo delle droghe, delle armi e della prostituzione, impiegati come forma di autofinanziamento, pratica diffusa durante tutto il conflitto dei Balcani anche da parte di altri gruppi.

Nel marzo 1998 iniziò l'escalation della crisi, caratterizzata dall'intensificarsi delle attività dell'UÇK e da una militarizzazione progressiva del Kosovo da parte delle forze militari e paramilitari serbe. In questo momento la comunità internazionale inizia a seguire la crisi, con l'interessamento di vari paesi europei e degli Stati Uniti, nonché con l'intervento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. L'interessamento internazionale riguardò anche il "gruppo di contatto" per l'ex Jugoslavia, già attivo con la guerra in Bosnia-Erzegovina.

A fine marzo il Consiglio di Sicurezza dell'ONU emana una risoluzione (1160) con la quale condanna l'eccessivo uso della violenza da ambo le parti, successivamente (maggio) la comunità internazionale mette sotto embargo per gli armamenti la Repubblica Federale Jugoslava.
Nel giugno anche la NATO ed il G8 si esprimono sulla crisi ed a settembre viene emessa una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza, la 1199, nella quale si rafforza la richiesta di cessare le ostilità e si esprime forte preoccupazione per la sicurezza e la stabilità della regione.

Nel luglio ormai il Kosovo è sotto l'occupazione militare Serba e, disattese le risoluzioni ONU, la NATO minaccia la possibilità di intervenire militarmente nella crisi proclamando un Activation Order, che sarà seguito, nei mesi successivi, da un rischieramento di circa 500 aerei NATO in varie basi italiane (principalmente dalla base USAF Aviano AFB e dalla base di Istrana).

Nel novembre l'OSCE media un accordo grazie al quale invierà duemila osservatori in Kosovo, per verificare la presenza di violenze e le responsabilità delle parti, nonché di sorvoli di ricognizione da parte di aerei NATO sul Kosovo (risoluzione 1203 del Consiglio di Sicurezza).

Successivamente alcuni paesi NATO rischierano in Macedonia un contingente di forze terrestri (operazione Joint Guarantor) con il triplice scopo di fare da deterrente contro eventuali infiltrazioni in Macedonia, di fare pressioni sul governo serbo e soprattutto quello di operare come forza di esfiltrazione (extraction force), in favore degli osservatori internazionali, qualora si fossero presentati pericoli.

Durante l'inverno gli scontri continuano, seppur a bassa intensità. A metà gennaio 1999 avviene però la Strage di Rackak, sotto molti aspetti controversa, nella quale vengono rinvenuti 40-45 cadaveri di kosovari di etnia albanese, apparentemente giustiziati, al seguito di violenti scontri tra forze di polizia serbe ed elementi dell'UÇK, sotto lo sguardo degli osservatori internazionali. La situazione, già precaria, peggiora notevolmente.

Nel febbraio 1999 si svolge la Conferenza internazionale di pace di Rambouillet, ultimo tentativo di ricomporre la crisi; le condizioni poste alla Serbia saranno l'accettare l'occupazione del Kosovo da parte di forze internazionali, al fine di risolvere la crisi: il documento, che prevede l'autonomia ma non l'indipendenza del Kosovo, verrà firmato dal rappresentante dell'UÇK Adem Demaçi solo dopo notevoli pressioni USA. Qualche settimana dopo, alla ripresa di Parigi - momento attuativo degli accordi siglati a Rambouillet - la delegazione Serba rigetta l'accordo sostenendo che si trattava di un'autonomia che mascherava di fatto un processo di indipendenza.

A marzo a seguito di risposte negative da parte della Serbia a tornare alle sedi diplomatiche attuative degli accordi presi, e dopo ripetute minaccie di intervento da parte della NATO, con la minaccia di veto da parte della Russia e della Cina che impediscono di fatto un pronunciamento del Consiglio di Sicurezza, la NATO decide di intervenire con attacchi aerei per imporre alla Serbia il rispetto degli accordi di Rambouillet.
Pochi giorni prima gli osservatori dell'OSCE vengono fatti evacuare dal Kosovo.

[modifica] Strategia e andamento delle operazioni

Fissati gli obiettivi, i vertici politici e militari della NATO optarono per una massiccia campagna di bombardamenti aerei a carattere strategico, pur tenendo aperta fino all'ultimo la possibilità di un attacco di terra (truppe erano già presenti con compiti di difesa e controllo in Macedonia ed Albania, inoltre ulteriori truppe erano state mobilitate).
La scelta di condurre solo attacchi aerei fu dettata dalla esigenza di limitare al massimo le perdite, consci che molti morti avrebbero provocato una caduta del consenso da parte dell'opinione pubblica dei paesi NATO, secondo le precedenti esperienze in Somalia. L'opzione dell'attacco terrestre fu quindi scrupolosamente evitata.

Si possono suddividere le operazioni aeree in tre fasi:

  • una prima fase era volta a togliere alla Serbia ogni capacità di offesa e difesa aerea, tramite il sistematico bombardamento di aeroporti militari, postazioni missilistiche antiaeree e radar.
  • nella seconda fase gli attacchi si sono diffusi ad obiettivi militari generici, con particolare attenzione alle forze serbe presenti nel Kosovo.
  • la terza fase ha avuto come obiettivo primario quello di colpire bersagli civili e militari nel tentativo di paralizzare il paese (principali obiettivi i ponti -con alcuni gravi incidenti- e le centrali elettriche, ma anche le telecomunicazioni) obbligando il governo serbo ad una resa e spingendo il popolo serbo a fare pressioni sul governo.

L'andamento delle operazioni e la capacità d'autodifesa serba hanno tuttavia impedito lo svilupparsi in maniera regolare di queste fasi, che si sono sovrapposte lungo tutto il corso della campagna.

[modifica] La partecipazione italiana

Da quando la NATO si è fatta carico di imporre alla Serbia la smilitarizzazione del Kosovo e il rispetto degli accordi di Rambouillet, gli aeroporti italiani si sono ritrovati ad ospitare, con lo sforzo logistico che ne consegue, qualcosa come un migliaio di aerei militari con esigenze di massima operatività, nonché con la richiesta di servizi dettata dallo svolgimento intensivo di missioni di guerra.

L'Italia ha dovuto affrontare costi particolarmente alti. Basti pensare che il costo delle sole missioni dell'Aeronautica Militare è stato di 65 miliardi e mezzo di lire, al quale va aggiunto lo schieramento navale che, oltre al Garibaldi con il suo gruppo aereo, includeva anche la fregata "Zeffiro". A tutto questo bisogna aggiungere poi lo schieramento logistico in supporto alla NATO.

[modifica] Il supporto alla NATO

Al servizio della campagna aerea sono stati posti 19 aeroporti dai quali ha operato la maggior parte dei veivoli NATO, richiedendo l'attivazione di tutti i servizi (meteo, rifornimenti di carburante, ATC - controllo del traffico aereo ecc.) H-24 (24 ore al giorno). Da questi aeroporti sono state erogate ben 300.000 tonnellate di carburante e le piste degli aeroporti sono state affaticate al punto da richiedere lavori straordinari, in quanto l'usura è stata pari a quella di 1 anno e 1/2 di utilizzo "normale". Il costo è stato quantificato in 25 miliardi di lire.

Uno schieramento antiaereo basato su di un radar mobile (Brindisi), 5 batterie SPADA (Brindisi, Otranto, Aviano, ecc.), 3 batterie Hawk dell'Esercito Italiano (Brindisi, Torre Veneri, Bari Palese) ha assicurato la protezione degli aeroporti insieme agli schieramenti della VAM (Vigilanza AM) e dell'Esercito Italiano.

[modifica] La partecipazione della NATO

La NATO, esclusa la partecipazione italiana già elencata, ha schierato un migliaio (che verso la fine della guerra era parecchio abbondante) di aerei tra bombardieri (americani), cacciabombardieri ed assetti vari, di ben tredici stati differenti, ossia tutta la NATO, esclusa l'Islanda ed il Lussemburgo (privi di forze aeree) e la Grecia (che per ragioni politiche ha inviato solo un cacciatorpediniere). Non vanno neppure considerate la Polonia, la Repubblica Ceca e l'Ungheria in quanto, essendo da pochissimo entrate nella NATO, non erano ancora integrate nell'apparato militare.

La partecipazione più consistente è stata statunitense, ma per la prima volta anche l'Europa si è accollata una fetta di missioni piuttosto ampia.

[modifica] La partecipazione USA

Come sempre in questi ultimi conflitti gli Stati Uniti hanno vantato una presenza veramente consistente, anche se non più ai livelli di Desert Storm, sia nei numeri che nelle percentuali. Gli Stati Uniti, in particolare, sono gli unici in grado di coprire in maniera perlomeno adeguata sia tutte le esigenze di combattimento (caccia, cacciabombardieri, SEAD, ma anche bombardieri strategici, aerei da appoggio tattico, cruise...), sia tutte quelle specialità e quegli assetti più o meno pregiati come aerei da trasporto strategico, aerei radar, cisterne volanti, aerei da guerra elettronica, nuclei CSAR (da ricerca e soccorso in combattimento), ricognitori teleguidati, ed aerei per l'intelligence elettronica, postazioni di comando volanti e altro ancora. Tutti assetti indispensabili in una guerra ad "alta tecnologia", ma di cui nessuno dispone in quantitativi sufficienti.

Lo schieramento navale includeva una portaerei, la USS "Roosevelt", 2 unità da appoggio anfibio, la USS "Inchon" e la USS "Nassau", ed altre unità di superficie e sommergibili dotate di missili da crociera Tomahawk. Il totale di BGM-109 Tomahawk lancati da americani ed inglesi durante l'operazione è di 100 esemplari, con un rateo di successi molto elevato, sebbene siano da contare alcuni errori gravi.

[modifica] Le forze Serbe

Le forze serbe messe in campo sono state decisamente esigue: la Serbia ha potuto schierare contro la NATO non più di 200 aerei da combattimento ed addestratori armati, di cui una buona parte totalmente inadeguati ad affrontare una minaccia agli standard della NATO. Questo l'elenco approssimativo degli aerei da combattimento:

  • 14 MiG-29 "Fulcrum A", e 2 MiG-29UV "Fulcrum B": questi gli unici caccia temibili, essendo però completamente sprovvisti di radar a lungo raggio, hanno subito l'iniziativa avversaria. Di questi a fine guerra ne risultavano abbattuti 6 dai caccia della NATO, ed altri 6 o 7 distrutti a terra dagli attacchi aerei.
  • 60 MiG-21 "Fishbed" (varie versioni): l'altra faccia della prima linea, questi vecchi aerei non hanno potuto altro se non starsene rintanati negli shelter (o in rifugi camuffati). Le perdite che la JRV (l'aeronautica iugoslava) lamentava a fine guerra erano circa 20 o 21 "Fishbed", di cui uno abbattuto, o precipitato in un incidente.
  • 10-15 IJ-22 Orao 2
  • 26 J-1 "Jastreb" (varie versioni)
  • 45 G-4 "Super Galeb"
  • 20 G-2 "Galeb": di tutti questi aerei di produzione locale sono poco noti (anche alla NATO) sia i quantitativi, che le versioni, ed anche il rateo di perdite. Sono tutti cacciabombardieri che, stando alle fonti non ufficiali, avrebbero anche effettuato attacchi al suolo ai danni delle popolazioni kosovare durante la guerra.

Non è ben chiaro il quantitativo del resto degli aereomobili, soprattutto elicotteri vari ed aerei da trasporto, di cui si sa solo che hanno operato durante la guerra elicotteri Mi-8 ed Sa-341 "Gazela" in appoggio alla campagna terrestre serba in Kosovo.

Per quanto riguarda l'antiaerea, sappiamo che la Serbia era dotata di 2 batterie a lungo raggio SA-2, e di batterie SA-3, SA-6, e forse SA-13, nonché numerosi pezzi d'artiglieria. Sicuramente l'antiaerea ha subito delle perdite, ma è certo che fino all'ultimo giorno di guerra era attiva, anche grazie alla notevole prudenza ed abilità degli uomini radar.

Per quanto riguarda le truppe a terra la situazione è ben più incerta. L'unica cosa sicura è che i serbi non si sono risparmiati in questo fronte, anche perché non vi sono state minacce troppo forti: i guerriglieri dell'UCK, soprattutto all'inizio, non erano in grado di contrapporsi in maniera seriamente valida, e gli attacchi aerei della NATO non hanno saputo ostacolare in maniera significativa le forze serbe.
Le forze serbe, oltre ad unità militari dell'esercito, includevano anche gruppi paramilitari facenti capo a formazioni ultranazionaliste, il cui appartenere o meno alla linea di comando governativa è stato uno dei temi principali del processo a Milošević.

[modifica] Le perdite

Posto che da parte serba non esistono conteggi precisi sulle perdite, si può stimare che le vittime serbe degli attacchi aerei della NATO ammontino ad alcune migliaia, inclusi civili uccisi durante bombardamenti imprecisi o veri e propri errori. Come molti altri conflitti, anche in questo caso le perdite della coalizione sono state molto ridotte rispetto a quelle della parte attaccata.

[modifica] Le perdite jugoslave

MiG-29 jugoslavo abbattuto in Bosnia
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MiG-29 jugoslavo abbattuto in Bosnia

I dati sui danni inflitti alle forze serbe sono stati assai controversi, dato che successive valutazioni hanno dimostrato come le perdite materiali effettive fossero contenute. In particolare si stima come più della metà della flotta di MiG-29 sia stata distrutta (a terra o in volo), mentre la linea di volo dei MiG-21 abbia limitato i danni (20-21 aerei distrutti). Non sono note le perdite per le altre linee di volo. Le perdite nella componente antiaerea sono state piuttosto limitate, come pure i carri armati distrutti non sembrano essere stati più di 12 (a fronte di una stima iniziale di 200 perdite).

La ragione di queste perdite contenute va cercata nell'abile tecnica di camuffamento operata dalle forze serbe che ha impedito ai piloti alleati (che raramente scendevano al di sotto dei 15.000 piedi di quota per evitare la minaccia dell'artiglieria antiaerea) di riconoscere correttamente i bersagli.

Danni ben più consistenti li ha subiti l'economia serba: a causa della distruzione di alcune centrali elettriche, delle pompe idriche, di alcuni ponti (con l'interruzione dela navigabilità del Danubio) e di varie infrastrutture portata avanti in una fase avanzata dell'operazione, l'economia serba ha richiesto nel dopoguerra consistenti aiuti economici per una ricostruzione protrattasi per anni, senza considerare i pesanti danni ambientali.

[modifica] Le perdite civili

Numerosi sono stati i civili coinvolti direttamente nei bombardamenti, a causa di incidenti ma anche per attacchi deliberati. Tra questi vanno ricordati gli incidenti a treni e pullmann durante il bombardamento ad alcuni ponti, nonché l'attacco deliberato alla stazione televisiva serba, che causò 16 morti tra funzionari, giornalisti ed impiegati. Vanno infine ricordati i kosovari di etnia albanese, che in fuga dalle persecuzioni serbe e i bombardamenti sono stati in più di una occasione vittime degli errori dei bombardieri NATO. Non è calcolabile poi il numero di morti causati dalle forze militari e paramilitari serbe.

Particolarmente grave per la forte tensione che ha provocato è stato il bombardamento dell'ambasciata cinese il 27 maggio, con la morte di tre funzionari cinesi, dovuto ad un probabile errore dell'intelligence americana.

[modifica] Le perdite della NATO

Un UAV Predator catturato dai Serbi
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Un UAV Predator catturato dai Serbi

Le perdite della NATO sono state assai limitate. In ogni caso, la notevole prudenza dei pianificatori militari ha certamente ridotto le perdite di velivoli, che venivano fatti operare ad alta quota per evitare la contraerea (con maggiori difficoltà nell'individuazione e riconoscimento dei bersagli, con il conseguente incremento degli attacchi falliti e del rischio di colpire obiettivi civili).
L'invasione terrestre del Kosovo, che avrebbe certamente causato perdite sensibili tra le truppe, è stata accuratamente evitata.
Nel dettaglio, fatti salvi alcuni atterraggi d'emergenza a Sarajevo (Bosnia) e Skopje (Macedonia), da parte di alcuni F-15, un Harrier inglese ed un A-10 con il pilota ferito, le perdite dichiarate sono state minime:

  • 27 marzo F-117A Nighthawk, statunitense, certamente l'abbattimento più clamoroso, il primo per un aereo stealth. Il pilota è stato recuperato circa 6 ore dopo da un team del CombatSAR.
  • 26 aprile AH-64 Apache, statunitense, ufficialmente non coinvolto nel conflitto, era stato schierato a Tirana, Albania in vista di un eventuale impiego. Probabilmente perso durante una missione addestrativa, i due piloti sono rimasti feriti.
  • 1 maggio AV-8B Harrier, statunitense, abissatosi nell'Adriatico per un guasto al motore durante un appontaggio, il pilota si è salvato.
  • 2 maggio F-16CG, statunitense, abbattuto in Serbia non lontano da Belgrado, il pilota è stato recuperato da un team del CombatSAR.
  • 5 maggio AH-64 Apache, statunitense, ufficialmente non coinvolto nel conflitto, forse abbattuto da un missile terra-aria serbo. Entrambi gli uomini dell'equipaggio sono deceduti.

Oltre a queste perdite sono da includere i numerosi aeromobili teleguidati andati perduti ed i 3 soldati statunitensi fatti prigionieri (e poi liberati) durante una missione di pattugliamento al confine tra Kosovo e Macedonia.

[modifica] Cronologia degli eventi principali

Questa è un elenco di fatti significativi databili, come tale non deve essere considerato completo (nota che Italia e Serbia hanno lo stesso fuso orario).
Le cifre dei morti e feriti sono basate su rapporti delle autorità serbe dell'epoca. Va notato che in diversi casi sono state confermate nella sostanza tramite testimonianze della stampa, anche internazionale, e rapporti della Croce Rossa.

  • 24 marzo 1999 iniziano le operazioni aeree contro la Serbia:
    • dalla mattina si riduce l'attività di volo di routine sui cieli dell'Adriatico;
    • ore 16.00 circa, iniziano i primi decolli di aerei di supporto (tanker, AWACS, postazioni di comando volanti ecc);
    • ore 17.50 circa, iniziano i decolli serrati degli aerei d'attacco, alle 20.00 l'operazione sarà completamente avviata;
  • 25 marzo, ore 02.00 iniziano le incursioni all'interno della Serbia, gli attacchi della prima notte si concentrano su postazioni SAM ed aeroporti in Kosovo e nei dintorni di Belgrado, vengono impiegati anche i missili cruise;
  • 26 marzo, inizia l'afflusso dei primi profughi kosovari presso le frontiere albanese e macedone, la NATO individua alcune aree all'interno delle quali viene effettuata una "pulizia etnica";
  • 27 marzo, ore 20.45, un F-117 statunitense viene abbattuto a circa 28 miglia da Belgrado, il pilota è recuperato incolume 3 ore dopo;
Le immagini satellitari del ponte di Novi Sad, prima e dopo il bombardamento
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Le immagini satellitari del ponte di Novi Sad, prima e dopo il bombardamento
  • 31 marzo, tre soldati statunitensi della Joint Guarantor in Macedonia vengono catturati e portati prigionieri a Belgrado;
  • 5 aprile, una bomba da 250 kg cade in un'area abitata, 17 morti;
  • 12 aprile, un ponte viene bombardato mentre vi transita un treno, 55 morti;
  • 13 aprile, intensificazione delle operazioni sul Kosovo:
    • l'esercito serbo colpisce con artiglieria un villaggio di frontiera albanese;
  • 14 aprile, circa 75 civili kosovari vengono uccisi per errore da aerei NATO;
  • 21 aprile e seguenti, le operazioni aeree si intensificano nella capitale serba, viene bombardato con bombe incendiarie il quartier generale del Partito Socialista Yugoslavo;
  • 23 aprile, alcuni missili colpiscono la torre della televisione pubblica serba, causando 16 morti;
    • lo stesso giorno viene respinta una prima offerta di tregua da parte di Milošević;
  • 1 maggio, 47 civili vengono uccisi nel loro bus centrato mentre attraversava un ponte sotto bombardamento, questo è il secondo incidente di questo tipo;
    • il giorno successivo i tre soldati statunitensi vengono rilasciati come segno di buona volontà al reverendo Jasse Jackson;
  • 7 maggio, un errore durante un bombardamento nelle vicinanze di Nis (nel sud) causa la morte di 15 uomini e circa 70 feriti;
  • 8 maggio, l'ambasciata cinese a Belgrado viene colpita per un probabile errore di intelligence causando 3 morti ed un forte attrito internazionale;
  • 13 maggio, dopo un apparente ritiro serbo dal Kosovo, ed il ricorso della Serbia contro la NATO per genocidio presso il Tribunale Internazionale dell'Aia (rigettato il 2 giugno):
    • circa 60 morti ed 80 feriti causati dalla NATO contro un villaggio kosovaro, Korisa; la NATO accusa i serbi di aver usato i civili come scudi umani;
  • 21 maggio, circa 100 carcerati muoiono durante il bombardamento di un carcere a Pristina;
  • 22 maggio, 7 guerriglieri dell'UCK rimangono uccisi per un errore della NATO, altri 15 feriti;
  • 27 maggio, Milošević ed altri alti ufficiali vengono indagati per crimini di guerra presso il Tribunale Internazionale dell'Aia;
  • 30 maggio, durante un bombardamento di un ponte autostradale, rimangono uccise 11 persone che lo stavano attraversando;
  • 31 maggio, altri due gravi errori da parte degli aerei NATO:
    • 20 persone rimangono uccise in un ospedale a Surdulica, nel sud; la NATO nega ogni responsabilità;
    • una bomba colpisce il villaggio di Novi Pazar, causando 23 morti;
  • 1 giugno, Milošević accetta le decisioni del G8, si inizia a pianificare una missione di pace in Kosovo;
  • 10 giugno, dopo 78 giorni di bombardamenti, le missioni di attacco sono sospese.

[modifica] Bilancio della campagna militare

Edificio governativo distrutto a Belgrado
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Edificio governativo distrutto a Belgrado

Il bilancio di questa operazione è estremamente controverso: se infatti l'obiettivo primario dell'operazione era imporre alla Serbia il rispetto del trattato di Rambouillet, cosa riuscita, non è trascurabile il fatto che la repressione e la temuta pulizia etnica, che si volevano impedire con la campagna militare, siano scoppiate con maggior vigore proprio all'inizio dei bombardamenti, con un numero di profughi stimati tra i 700 mila ed il milione.
La tanto auspicata destituzione di Slobodan Milošević (con una forte ingerenza negli affari interni della Serbia, secondo i principi dell'ingerenza umanitaria) inoltre è arrivata, ma con notevole ritardo, il 6 ottobre 2000, mentre è stato consegnato al tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia il 28 giugno 2001.

Molti analisti ritengono che la mancanza di un attacco terrestre della NATO (evitato perché inaccettabile per le probabili perdite, stimate in un migliaio di uomini) abbia permesso il massacro della minoranza albanese in Kosovo, essendoci stata mano libera da parte dell'esercito serbo, difficilmente contrastabile mediante sole operazioni aeree in territorio montuoso.

Infine a guerra compiuta, con l'avvio dell'operazione KFOR ed il rimpatrio dei profughi albanesi, è iniziato un fenomeno opposto al precedente, quello della fuga della minoranza serba sotto la minaccia dei kosovari albanesi, con vari episodi di violenza e successivi incendi a numerose chiese serbe ortodosse. Al 2006 la comunità serba vive sotto la diretta protezione della KFOR.
Oltre a ciò dopo la guerra si levarono molte critiche contro l'intervento della NATO quando si venne a sapere che numerosi scontri tra serbi ed albanesi (con la repressione di questi ultimi), furono "cercati" dall'UCK che intendeva alzare il livello dello scontro affinché la crisi in Kosovo ottenesse visibilità internazionale; aspre critiche sono state rivolte anche al fatto che l'UCK, appoggiato durante la campagna aerea, e successivamente legittimato, fosse infiltrato da elementi fondamentalisti e legato ad affari criminali internazionali.

Accanto alle critiche, molti considerano che l'operazione abbia evitato una catasrofe politica (e, come conseguenza, umanitaria) ai danni non solo del Kosovo, ma dell'Albania e della Macedonia (regioni con enormi problemi di transizione), con l'assai probabile prepetuarsi di quello scenario di scontri sanguinosi di nazionalità ed etnie che ha provocato nel corso di dieci anni di conflitti nei Balcani ben 250.000 morti, in gran parte frutto di deliberate uccisioni di civili, perpetrate a loro volta da altri civili o da paramilitari.

Sotto questo profilo l'analisi della diplomazia internazionale in un primo periodo guardava a Milošević come potenziale elemento antidisgregatore rispetto all'esplosione delle questioni nazionali e delle secessioni nella Jugoslavia. In effetti, il regime serbo è stato l'unico (o il più conseguente) sostenitore del mantenimento della Federazione Jugoslava, e forse per questo godeva di un appoggio piuttosto incondizionato (e talvolta miope) da parte di importanti capi di stato. Più che gli avvertimenti e le implorazioni dell'opposizione serba, è stato probabilmente il reiterato comportamento diplomatico inaffidabile della Serbia a provocare un progressivo cambiamento di valutazione. Ha senso qui dire "Serbia" e non "Jugoslavia", perché la Jugoslavia emersa dalle rovine delle federazione del dopoguerra, ridotta alla sola Serbia e al Montenegro, di fatto coincideva in tutto e per tutto con la volontà politica del regime serbo. L'evidente tendenza ad utilizzare i momenti di trattativa per preparare dietro le spalle mosse militari in aperto contrasto con il comportamento tenuto dalle delegazioni, il carattere pretestuoso delle rotture delle trattative, hanno valso a Milošević il nome di "piccolo Hitler", non tanto per le "pulizie etniche", quanto per la tendenza a considerare "i trattati come pezzi di carta".


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