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Maggiolata

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Il Maggio musicale fiorentino è una delle manifestazioni artistiche fra le più prestigiose, a livello mondiale. Pochi, tuttavia, si soffermano sulle motivazioni che, in origine, hanno indotto ad organizzare a Firenze un festival musicale in un determinato periodo dell'anno da cui derivarne addirittura il nome. Il Maggio musicale fiorentino altro non è che il frutto moderno di un'antica gioia di vivere che in primavera vede cadenzare annualmente la sua ciclica rinascita e che una Firenze antica, inondata da fiori, onorava principalmente con balli, musiche e rappresentazioni teatrali.

Il "Calendimaggio", antica festa della primavera, si celebrava infatti a Firenze, "città del fiore", il primo giorno di maggio - calende di maggio - con festeggiamenti che si prolungavano praticamente per tutto il mese. La festa cominciava il 30 aprile con la sospensione di ogni attività mercantile e artigiana e l'inizio di sfilate e cortei per le vie cittadine fra l'allegria della folla che colmava le strade, le finestre e i balconi, ornati per l'occasione da festoni di alloro, arazzi e bandiere. Per lungo tempo la festa, di origine pagana, ebbe anche un’impronta religiosa tanto che era usanza inghirlandare tutti i tabernacoli e alla Compagnia del Ceppo si offrivano addirittura fiori benedetti.

A Calendimaggio l'Arte dei Calzolai onorava solennemente San Filippo suo protettore, allestendo un altare sul quale si celebravano messe all'aperto davanti alla statua del santo eretta in un'edicola all’esterno di Orsanmichele e tutto addobbavano con la propria bandiera, con fiori, con alloro e lumi, nonché con la consueta "fiorita", un tappeto per terra di foglie e fiori primaverili.

I lieti tradizionali conviti di Calendimaggio accoglievano intorno alle mense, di popolo e di signori, parenti, amici e vicini che vi intervenivano. Nel Calendimaggio del 1274, come ricorderà più tardi il Boccaccio, Dante, allora fanciullo di nove anni, incontrò per la prima volta Beatrice.

Le canzoni, dette "maggi", erano cantate da brigate di giovani e di ragazze che, in quel giorno, ornata la testa da ghirlande di fiori e intrecciando danze sotto la direzione della neoeletta "regina di maggio" o "sposa di maggio", andavano di casa in casa presso le fanciulle fidanzate, ricevendo in cambio fiori. Le comitive dei "cantamaggio", che usavano arricchire le loro melodie con "rifioriture" e ritornelli, e dei "maggiaioli", cioè coloro che cantavano le "maggiolate" e serenate, erano precedute da un giovane che portava "il majo", ramo fiorito e infioccato che rappresentava la primavera. Altri rami fioriti venivano appesi alla finestra e alla porta della casa dell'innamorata e delle fanciulle più belle. Di queste celebrazioni primaverili numerose sono le testimonianze poetiche, anche dotte, fra le quali quella famosa di Agnolo Poliziano e le ballate del Magnifico Lorenzo de' Medici. Al Poliziano si deve una delicata descrizione della festa: "Ben venga maggio / E ‘I gonfalon selvaggio! /Ben venga primavera! che vuoi l’uom s’innamori. / E voi donzelle a schiera! con li vostri amadori,! che di rose e di fiori, / vi fate belle in maggio,! Venite alla frescura! delli verdi arbuscelli".

Al "maggio lirico" si affiancava il "maggio teatrante", una vera e propria rappresentazione teatrale: di argomento religioso - famoso il "Maggio di Sant'Uliva" -, romanzesco, storico e classico, era scritto e diretto dal "capomaggio". Il Calendimaggio era, in sintesi, tutto ciò che rende lieto l'animo dell'uomo: canto, gioco, danza, amore, mensa, spettacolo. Uno spettacolo che continua ad altissimo livello nei maggiori teatri cittadini nel corso del Maggio musicale fiorentino e che prende vita anche in altre forme.

Nel mese di maggio regnavano e regnano sovrani i profumi e i colori dei fiori nelle campagne intorno a Firenze così come ancora oggi il cuore della città, piazza della Signoria, si apre ad una miriade di colori che fluttuano con armonica eleganza. I colori del maggio cittadino sono quelli dell’antico ed affascinante "gioco delle bandiere". Le bandiere svolazzano con maestria e con impegno nel corso del prestigioso Trofeo Marzocco, una importante gara quadrangolare fra gruppi di Sbandieratori di città italiane che da circa vent’anni si svolge a Firenze la prima domenica di maggio. Per molti anni la vittoria è stata appannaggio dei fortissimi Bandierai degli Uffizi Fiorentini, oramai noti non solo al pubblico fiorentino e di varie parti d'Italia ma anche oltre i confini, grazie alle loro applaudite manifestazioni in diversi paesi di tutto il mondo. Nella disputa fiorentina i Bandierai degli Uffizi, di volta in volta, tengono testa a gruppi prestigiosi come gli Sbandieratori della città di Asti o quelli della Quintana di Ascoli Piceno o della Giostra del Saracino di Arezzo.

Il Trofeo si articola in due distinte discipline: la cosiddetta "Piccola squadra", che impegna un gruppo limitato di sbandieratori selezionati da ogni gruppo in gara, e la "Grande squadra", con esercizi solitamente articolati e di grande effetto spettacolare eseguiti da un minimo di otto alfieri. Sempre nell'ambito della manifestazione viene assegnato un premio speciale al migliore dei quattro gruppi di Musici che accompagnano gli esercizi, che per i colori fiorentini sono i "Tamburini e Trombetti degli Uffizi". Dalla comparazione di queste tre classifiche viene infine assegnato dalla giuria il trofeo.

I colori e i fiori del maggio cittadino sono, inoltre, i protagonisti del ricordo ancora oggi di un avvenimento storico che segnò, forse più di ogni altro, il passaggio di Firenze dal XV al XVI secolo.

Il 23 maggio di ogni anno ha luogo la cerimonia della "Fiorita". Celebrata una messa nella Cappella dei Priori in Palazzo Vecchio, si forma un corteo di frati domenicani e di cittadini, con alla testa le autorità comunali, civili e religiose, che scende nella sottostante piazza della Signoria dove sparge petali di rose, tra rami di palme, sulla lapide circolare situata sul lastrico della piazza, che segna il punto dove fu impiccato e arso Fra' Girolamo Savonarola assieme ai suoi due confratelli Fra' Domenico Buonvicini da Pescia e Fra' Silvestro Maruffi da Firenze. Questa odierna cerimonia prende origine dalla pietosa, spontanea iniziativa popolare che vide, la mattina dopo la morte del predicatore, il luogo del supplizio coperto di fiori.

Girolamo Savonarola, nato a Ferrara nel 1452, iniziò la sua vita religiosa nel Convento di San Domenico a Bologna. Nel 1482 giunse a Firenze e nel 1491 fu eletto priore del Convento di San Marco. Dotato di parola persuasiva e trascinante, predicò una riforma del costume nel clero e nel popolo sostenendo, contro la signoria dei Medici, la Repubblica fiorentina costituita sotto l'egida del Cristo.

In occasione delle feste di Carnevale, per riportare i costumi dei cittadini all’antica austera semplicità e moralità, mettendo al bando ogni sorta di frivolezze, il Savonarola organizzò il "bruciamento delle vanità", cioè la distruzione dei libri ritenuti "disonesti, lascivi e vani", presi dalle abitazioni e bruciati sulle piazze in grandi falò. Ben presto però fu accusato dai suoi nemici di indisciplina ecclesiastica e di intemperanza religiosa, per le sue accese prediche contro la corruzione dei costumi, per le apocalittiche profezie di futuri flagelli a Roma e a Firenze e per erigersi a riformatore di uno Stato repubblicano. Il Savonarola fu quindi sottoposto a vari interrogatori, processato e condannato con i suoi due confratelli all'impiccagione e al rogo.

All’alba del 23 maggio 1498, alla vigilia dell'Ascensione, i tre religiosi dopo aver ascoltato la santa messa nella Cappella dei Priori nel Palazzo della Signoria, furono condotti sull’arengario del palazzo stesso dove subirono la degradazione da parte del Tribunale del Vescovo. Nello stesso luogo vi erano anche il Tribunale dei Commissari Apostolici e quello del Gonfaloniere e dei Signori Otto di Guardia e Balìa, questi ultimi i soli che potevano decidere sulla condanna. Dopo la degradazione i tre frati furono avviati verso il patibolo, innalzato nei pressi della Fontana del Nettuno in seguito compiuta dal Giambologna, e collegato all’arengario del palazzo da una passerella alta quasi due metri da terra. La forca, alta cinque metri, si ergeva su una catasta di legna e scope cosparse di polvere da sparo per bombarde. Fra le urla della folla fu appiccato il fuoco a quella catasta che in breve fiammeggiò violentemente, bruciando i corpi oramai senza vita degli impiccati. Le ceneri dei tre frati, del palco e d’ogni cosa arsa furono portate via con delle carrette e gettate in Arno dal Ponte Vecchio, anche per evitare che venissero sottratte e fatte oggetto di venerazione da parte dei molti seguaci del Savonarola mescolati fra la folla. Dice infatti il Bargellini che "ci furono gentildonne, vestite da serve, che vennero sulla piazza con vasi di rame a raccogliere la cenere calda, dicendo di volerla usare per il loro bucato". La mattina dopo, come già detto, il luogo dove avvenne l’esecuzione apparve tutto coperto di fiori, di foglie di palma e di petali di rose. Nottetempo, mani pietose avevano così voluto rendere omaggio alla memoria dell’ascetico predicatore, iniziando la tradizione che dura tuttora. Il punto esatto nel quale avvenne il martirio e oggi avviene la Fiorita era indicato da un tassello di marmo, già esistente, dove veniva collocato il "Saracino" quando si correva la giostra. Questo lo si rivela da "Firenze illustrata" di Del Migliore, il quale così scrive: "alcuni cittadini mandavano a fiorire ben di notte, in su l'ora addormentata, quel luogo per l'appunto dove fu piantato lo stile; che v'è per segno un tassello di marmo poco lontano dalla fonte". Al posto dell’antico tassello per il gioco del Saracino, v'è attualmente la lapide circolare che ricorda il punto preciso dove fu impiccato e arso "frate Hieronimo". La lapide, in granito rosso, porta un'iscrizione in caratteri bronzei.

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