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Lingua islandese (storia)

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Indice

[modifica] La lingua dei colonizzatori norvegesi

La maggior parte dei colonizzatori originari dell'Islanda proveniva dalla Norvegia occidentale. L'islandese è quindi in origine una lingua di importazione e, piu' precisamente, un dialetto norvegese. Il norvegese antico (norv., dan. gammelnorsk o oldnorsk) fu quindi trapiantato in una terra fino ad allora pressoché disabitata, e non venne quindi a contatto con un altro idioma che ne avrebbe potuto influenzare l'evoluzione come substrato o adstrato; il suo sviluppo fu autonomo. Sarebbe però errato ritenere che la lingua portata in Islanda fosse completamente unitaria. Sebbene la maggior parte dei colonizzatori fosse originaria della Norvegia occidentale, mumerosi altri coloni provenivano da altre regioni del paese ed anche da altri paesi scandinavi. In Islanda, quindi, si venne a formare un idioma particolare con il contributo di tutti i dialetti norvegesi di allora. I fitti scambi di persone all'interno dell'isola, e specialmente l' alþingi (l'assemblea generale annuale che si teneva all'inizio di ogni estate a Þingvellir) contribuirono senz'alcun dubbio a livellare le differenze tra i vari dialetti; sopravvissero le caratteristiche comuni, mentre scomparvero quelle più marcatamente dialettali. Benché non si conosca nei dettagli come abbia potuto aversi un tale sviluppo, confrontando l'islandese moderno con le altre lingue scandinave è possibile cogliere quale sia stato l'esito di tale processo di livellazione. La particolare evoluzione dell'islandese, che avrebbe portato alla sua completa separazione dal norvegese e dalle altre lingue scandinave, iniziò con la landnám, ovvero con la prima colonizzazione. L'islandese ha perso ogni traccia del primitivo accento scandinavo (di natura musicale, come ancora oggi nel norvegese e più sentitamente nello svedese); le ricerche svolte per individuarne delle tracce (p.es. nella cosiddetta preaspirazione) non hanno portato a risultati apprezzabili. È significativo osservare che l'islandese condivide tale caratteristica con altre due lingue scandinave di importazione, il faroese e lo svedese di Finlandia.

[modifica] Il periodo scandinavo, o nordico comune: 550-1050

Per approfondire, vedi la voce Antico norreno.

Il periodo che va dal 550 al 1050 viene detto scandinavo (o nordico) comune. A quell'epoca si parlava comunemente in tutta la Scandinavia una lingua notevolmente unitaria. La posizione-chiave della Danimarca come baricentro dell'intera area fece sì che la lingua fosse semplicemente chiamata danese (dönsk tunga). Sebbene i primi accenni dei futuri sviluppi particolari fossero già individuabili in diverse regioni di quel vasto territorio, non esisteva alcun problema di comprensione reciproca; a questo si deve aggiungere la notevole somiglianza con i dialetti anglosassoni parlati in Gran Bretagna che, all'epoca della conquista danese di vaste porzioni dell'isola (VIII secolo), portarono ad una vera e propria compenetrazione, specialmente nel territorio da allora chiamato Danelaw (lett., "[territorio sottoposto alla] legge dei Danesi"). Molti sovrani anglosassoni furono di origine danese, tra cui il celebre Canuto (ingl. Canut < dan. Knud, nome maschile ancora oggi comunissimo). Il principale poema epico anglosassone, il Beowulf, tratta in realtà di argomenti di ambientazione danese e i danesi sono nominati fin dal primo verso (Hwæt! We Gardena in geardagum / þeoðcyninga þrym gefrunon "Udite! Abbiamo udito le gesta gloriose degli antichi Re del popolo dei Danesi dalle lunghe lance").

Per quanto riguarda la dönsk tunga parlata in Islanda non possediamo, per questo periodo, alcun documento scritto. Le antiche rune scandinave erano certamente conosciute dappertutto, ma non furono mai usate per scrivere su pergamena (erano state concepite come alfabeto sacrale adatto ad essere inciso su pietra, metalli o legno). In Islanda non sono attestate che poche iscrizioni runiche e quasi tutte risalgono a dopo il 1200.

[modifica] Il periodo scandinavo antico o Norreno (1050-1350). Confronto con le altre lingue scandinave e germaniche.

Per approfondire, vedi la voce Antico norreno.

Il periodo 1050-1350 viene detto scandinavo antico, nordico antico o norreno (l'aggettivo italiano è stato coniato dal germanista Vittorio Santoli, che lo riprese dall'islandese norrænn 'nordico', dan., norv. norrøn). Di quest'epoca possediamo numerosi manoscritti e documenti, che ci permettono di inquadrare perfettamente l'islandese di allora.

Tutti i documenti si servono dell'alfabeto latino, che fu introdotto in Islanda circa nel 1100; le leggi furono trascritte per la prima volta su pergamena nel 1117-1118. I primi manoscritti, tra quelli ancora in nostro possesso, risalgono alla II metà del XII secolo. Attorno al 1130-1140 fu composto il cosiddetto Primo Trattato Grammaticale (Fyrsta Málfræðibók), una descrizione originalissima ed unica in tutta Europa di una lingua coeva. Il trattato si occupa dei suoni dell'islandese dell'epoca, descrivendone la funzione all'interno del sistema fonologico con un metodo non molto dissimile da quello della linguistica moderna. Il manoscritto, oggi conservato a Reykjavík presso la Handritastofnun Íslands ("Istituto dei Manoscritti Islandesi") è comunque una copia posteriore del testo originale; altri tre trattati grammaticali furono composti nei decenni a seguire.

Sebbene i manoscritti più antichi risalgano a circa il 1150, essi mostrano delle forme che dovevano essere in uso attorno al 900. Questo vale specialmente per l'antica poesia epica che, a causa della sua struttura metrica e della tradizione di tipo orale, aveva conservato delle forme notevolmente arcaiche. Tra il 1050 ed il 1350 l'islandese comincia ad avere uno sviluppo indipendente da quello delle altre lingue scandinave e germaniche, in particolare, si dimostra assai conservativo nella morfologia e notevolmente unitario in tutto il paese. Dai manoscritti non è stato possibile determinare se in Islanda siano mai esistiti dei dialetti; tutti gli indizi ci dicono anzi che, fin dall'inizio, la lingua ha mantenuto uno straordinario grado di unitarietà.

Attorno al 1300 il danese ebbe una rapidissima evoluzione sia dal punto di vista fonologico che da quello morfologico. Dato che i mutamenti vengono usualmente registrati solo più tardi dalla lingua scritta, è probabile che, nel danese parlato, essi siano intervenuti in realtà attorno al 1250 e forse prima. La rapida evoluzione del danese (con una semplificazione delle forme paragonabile a quella intervenuta tra l'anglosassone e l'inglese medio, non a caso più o meno contemporanea) determinò una notevole differenza tra il nord ed il sud della Scandinavia. Nel 1350 il danese doveva aver assunto un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Il norvegese e lo svedese si svilupparono un po' più lentamente, ma presentano ugualmente notevoli differenze con l'islandese, che è sempre e comunque più conservativo ed ha mantenuto fino ai giorni nostri molti tratti dello scandinavo comune. Nel norvegese si sviluppò una sorta di "armonia vocalica", per cui il morfema aggiunto ad una parola con vocale radicale chiusa ([i], [u]) presentava pure una vocale chiusa (systir "sorella", cfr. isl. systir), mentre quello aggiunto ad una parola con vocale radicale aperta ([e], [o]) presentava pure una vocale aperta (broþer "fratello", cfr. isl. bróðir). Tale innovazione fu però accettata solo dal norvegese orientale e dallo svedese (norv. mod., sv. bro[de]r), mentre in islandese non ve n'è traccia alcuna. Per quanto riguarda il consonantismo, le lingue scandinave continentali e la maggior parte delle altre lingue germaniche hanno perso tutta la serie delle fricative [[þ], [ð]], mantenutesi invece intatte solo in islandese ed in inglese (che presenta qui un tratto fonologico notevolmente arcaico). Esse sono state sostituite dalle dentali corrispondenti [t, d] (cfr. norv., sv. tung "pesante", smed "fabbro", aisl. þungr, smiðr (isl.moderno þungur, smiður); da notare che il danese moderno ha reintrodotto la fricativa sonora [ð] (formatasi però per contatto e non notata dalla grafia). L'islandese è l'unica lingua germanica ad aver conservato i gruppi consonantici iniziali <hl, hr, hn>, almeno dal punto di vista grafico (la loro pronuncia si è in parte modificata con la desonorizzazione del secondo elemento consonantico), cfr. isl. hljót "suono", hrafn "corvo", hneta "noce", ingl. loud, raven, nut, sv. ljod, nöt, tedesco Laut, Rabe, Nuß. Assieme ancora una volta all'inglese, l'islandese è l'unica lingua germanica ad aver conservato, seppure a livello locale, la pronuncia [xw] del nesso consonantico iniziale <hv>: cfr. isl. hvað, hvalur [xwa:ð, 'xwa:l’ür, più comunemente [khvað, 'khva:l’ür] "che cosa, balena", ingl. what, whale [hwɔt, hweil]; le altre lingue germaniche hanno consonantizzato il nesso, cfr. ted. was, Wal-fisch [v-], neerlandese wat, waal-vis, sv. vad, val[fisk]. Da notare che lo svedese ha mantenuto fino ai primi del secolo la grafia hvad, hvalfisk, puramente storica. Il danese scrive e pronuncia [hv-] : hvad, hval-fisk [hvæ:ð, 'hvælfisg], mentre il nynorsk, in alcuni casi, scrive e pronuncia [kv-] (kva), esattamente come avviene comunemente in islandese moderno (meridionale e letterario). Esistono inoltre indizi probanti che <h> si pronunciasse in origine [x].

[modifica] L'islandese medio (1350-1550)

Nel periodo 1350-1550, corrispondente alla perdita totale dell'indipendenza ed al dominio danese, la differenza tra norvegese ed islandese aumenta ancora. La Norvegia cade anch'essa sotto il dominio della Corona di Danimarca, ed il danese diviene lingua ufficiale portando alla formazione dell'ibrido dano-norvegese alla base del moderno bokmål ("rinorvegesizzato" con buon successo solo in questo secolo). Solo nella parte occidentale (quella originaria degli antichi coloni islandesi) i dialetti si mantengono abbastanza puri e liberi dall'influsso danese, tanto che nella seconda metà del secolo scorso il linguista Ivar Aasen crea sulla loro base un idioma autenticamente norvegese, dapprima chiamato landsmål "lingua nazionale" e poi nynorsk, ovvero "neo-norvegese", che ottiene immediato riconoscimento come seconda lingua ufficiale dello stato e viene usato attualmente a tutti i livelli, specialmente nella zona di Bergen. Tutte le lingue scandinave continentali si evolvono in questo periodo su base analitica (estrema riduzione della declinazione nominale e della coniugazione verbale) e, con la Riforma, assumono l'aspetto moderno. L'islandese di questo periodo presenta invece una dicotomia. Se infatti, da un lato, mantiene praticamente inalterata la complessa struttura morfologica, dall'altro subisce un riassetto fonologico paragonabile per ampiezza a quello intervenuto tra l'inglese medio e quello moderno. Solo per citare i fenomeni più importanti:

1) Nel vocalismo si assiste alla dittongazione delle vocali lunghe [á, é, ó] ed alla differenziazione di timbro (non piú di quantità) di [í, ú]. Le vocali procheile [y, ý] (risultanti da [u, ú] per metafonia da "i") perdono la loro componente labiale e si confondono con [i, í] (con la stessa differenza di timbro), mentre la vocale anteriore aperta [æ] (risultante da metafonia da "i") si dittonga in [ai]. Si formano nuovi dittonghi, spesso sotto l'influsso di fonemi consonantici precedenti o successivi e, in generale, la pronuncia delle vocali brevi diviene sempre meno tesa fino ad approdare all'estrema rilassatezza attuale. Un fenomeno vocalico estremamente importante anche dal punto di vista morfologico è la scomparsa delle sonanti in posizione finale, con la formazione di un fonema svarabhakti [ü], notato [u] : cfr. isl. antico akr, gestr, merkr, þú gefr > isl. moderno ak-u-r, gest-u-r, merk-u-r, þú gef-u-r. L'islandese si differenzia anche dal punto di vista grafico: scompaiono i grafemi metafonetici [ø] e [o] (sostituiti, a seconda degli esiti fonetici, da [æ] , [ö], cfr. isl.ant. bøkr, londom > isl.mod. bækur, löndum). La vocale grafica [o] di molti morfemi (pronunciata probabilmente già [u] in epoca antica) passa ad essere notata [u]: londom, vér gefom, þeir ero > löndum, við gefum, þeir eru. La pronuncia delle vocali atone resta comunque molto chiara (a differenza di quanto avviene nelle altre lingue scandinave e germaniche), fattore che ha un importanza decisiva nella conservazione delle forme.

2) Il consonantismo subisce mutamenti ancor più profondi. Compaiono fenomeni di palatalizzazione per contatto, con la conseguente formazione di fonemi consonantici probabilmente assenti nella fase antica. Lo sconvolgimento più evidente riguarda la formazione delle consonanti desonorizzate: le sorde divengono aspirate, mentre le sonore perdono la loro vibrazione mantenendo però l'articolazione (senz'altro il tratto più notevole del consonantismo islandese moderno e quello che presenta la maggiore difficoltà per gli stranieri). Un altro fenomeno notevolissimo è quello della cosiddetta preaspirazione, per cui certi nessi consonantici vengono preceduti da una chiusura completa delle corde vocali seguita da una lieve aspirazione. Alcuni nessi consonantici sviluppano invece un elemento dentale desonorizzato. Entrambi i fenomeni non vengono notati dalla grafia che, in generale, rispecchia uno stadio di evoluzione linguistica molto anteriore (ma si tratta di un fenomeno comune a moltissime lingue di cultura, come l'inglese, il francese od il danese). Si sviluppano moltissimo anche i fenomeni morfofonetici, alcuni dei quali notati dalla grafia (gef þú > gefðu ecc.)

Il 'terremoto' fonetico subito dall'islandese non ha però toccato alcune antichissime caratteristiche fondamentali, come la conservazione delle vocali finali atone [i, u, a], altrove ridotte ad una vocale indistinta [ə]; come detto, questa è probabilmente la causa principale della conservazione morfologica.

[modifica] L'islandese moderno

Attorno al 1550, con la riforma luterana , l'introduzione della stampa e la conseguente traduzione della Bibbia, l'islandese moderno è definitivamente formato. Certamente, rispetto alle altre lingue scandinave e germaniche (con la parziale eccezione del feroese e del tedesco), esso è rimasto ad uno stadio evolutivo anteriore dal punto di vista morfologico, ma ciò non deve ingannare: i mutamenti fonologici intervenuti dalla fase antica a quella moderna sono enormi. La grafia conservativa, le forme ricchissime ed il lessico molto restio ad accettare neologismi occultano abbastanza bene la natura dell'islandese attuale, che è una lingua moderna come ogni altra (il russo, il polacco e l'ungherese, tanto per fare degli esempi, non hanno certo una morfologia meno complessa di quella islandese; l’ungherese, inoltre, si comporta esattamente come l’islandese per quanto riguarda la maggior parte dei neologismi). Come abbiamo più volte avuto occasione di dire, gli islandesi di oggi non hanno alcuna difficoltà nel leggere i capolavori della letteratura medievale, mentre per parlare con i loro lontani antenati avrebbero probabilmente bisogno di un interprete. I mutamenti più consistenti si sono avuti nel sistema vocalico in seguito alla perdita della quantità fonologica segmentale nel XVI secolo , o forse già nel XIV secolo ed al conseguente sviluppo dei dittonghi. Ma anche nel consonantismo si sono avuti notevoli cambiamenti, come, ad esempio, la desonorizzazione delle esplosive, il sorgere di una sonorità correlativa delle nasali e delle liquide e la preaspirazione.

[modifica] Influenze esterne sull'islandese

[modifica] L'influenza celtica

Non è ancora chiaro se l'influenza celtica (irlandese) abbia effettivamente contribuito allo sviluppo dell'islandese. Lo si ritiene comunque possibile, dato che tra i primi coloni erano presenti moltissimi schiavi irlandesi (secondo qualcuno arrivavano al 30% dell'intera popolazione). Sappiamo inoltre che, almeno nei primi tempi, queste persone continuarono a parlare tra loro in gaelico, ed alcuni studiosi affermano che il "germe" di alcune particolarità dello sviluppo fonologico islandese (come la preaspirazione e la desonorizzazione delle liquide e delle nasali) sia proprio da ricercarsi nell'influsso celtico. È comunque non molto probabile, dato che si tratta quasi certamente di fenomeni autoctoni verificatisi in un periodo in cui, certamente, sull'isola non vi era più nessuno che parlasse o intendesse l'irlandese ed i discendenti degli antichi schiavi si erano assimilati da generazioni. In ogni caso, l'influsso celtico dimostrabile con certezza si riduce ad alcuni toponimi (Dímon , Kalmans-vík, Kolku-ós, Patreks-fjörður) e ad alcuni nomi di famiglia come Kjartan, Kvaran, Kiljan, Kamban, Melkorka, alcuni dei quali ancora comuni ai giorni nostri.

[modifica] I toponimi

Sebbene la stragrande maggioranza dei toponimi islandesi sia autoctona e chiaramente interpretabile (solo per fare qualche esempio: Ísa-fjörður "fiordo dei ghiacci", Flat-ey "isola piatta", Gull-foss "cascata d’oro", Vatna-jökull "ghiacciaio delle acque (o dei laghi)", Reykja-vík "baia dei fumi", Blanda "il (fiume) misto" [che si forma, vale a dire, dall’affluenza di diversi fiumi], Varm-á "fiume caldo" ecc.), ne esistono alcuni che hanno finora resistito a qualsiasi tentativo di interpretazione plausibile, anche alla luce delle lingue celtiche. Si tratta ad esempio di Esja (una montagna sul Kjalarnes), Ferstikla (fattoria presso lo Hvalfjörður), Vigur (isola nello Ísafjarðardjúp), Ölfus (zona nella Árnessýsla, attraversata dal fiume Hvíta-Ölfusá), Tintron (un cratere vulcanico nel Lyngdalsheiði), Kjós (la zona che dà il proprio nome alla Kjósarsýsla), Bóla (fattoria sullo Skagarfjörður) e Hekla (il più noto vulcano islandese). Tali toponimi pongono numerosi problemi, ma il principale può senz’altro essere riassunto con una domanda molto semplice: se non sono islandesi o celtici, da quale lingua provengono? Sono forse stati ripresi dalla lingua (o dalle lingue) di immigranti di etnia sconosciuta, oppure, ipotesi affascinante seppure altamente improbabile, questo è un segno che l’Islanda era in realtà già abitata non solo prima della landnám, ma anche dell’arrivo dei primi anacoreti irlandesi? E da chi? Alcuni studiosi, come il poligrafo Árni Óla, si sono occupati della questione tentando (inutilmente) di dimostrare questa ipotesi che costringerebbe a riscrivere completamente la storia islandese degli inizi; altri ancora hanno affermato, poiché l’islandese è una lingua d’importazione, che tali nomi potrebbero in realtà risalire ad un qualche sconosciuto sostrato sul norvegese (sono quindi stati fatti dei raffronti con il lappone ed altre lingue ugrofinniche) e, quindi, "trapiantati" sull’isola al seguito di coloni provenienti da zone della Norvegia ove tale sostrato sarebbe stato ancora presente. Beninteso, alcuni hanno tentato e tuttora tentano di spiegare i nomi in questione servendosi dell’islandese (Kjós potrebbe provenire dalla radice del verbo kjósa, e sarebbe quindi la "terra scelta", e inoltre ricorda il comune cognome norvegese Kjus; Bóla potrebbe essere nient’altro che ból "dimora, abitazione", dalla radice del verbo búa "abitare", presente in diversi nomi di fattorie come Aðal-ból "fattoria principale" ecc.).

[modifica] L'influenza danese

Gli sforzi del governo di Copenaghen tesi ad introdurre il danese come lingua ufficiale in Islanda lasciarono una scia di termini danesi nei documenti ufficiali, ma ebbero scarso successo ed ancora più scarsa durata. La popolazione rurale rimase fedele alla propria lingua ancestrale, mentre i prestiti danesi venivano usati solo da un ristretto ceto agiato e colto, più o meno danesizzato e residente a Reykjavík. Quando, dunque, nel XIX secolo iniziò la battaglia per la purificazione dell'islandese da tutti i danicismi, guidata soprattutto dal poeta Jónas Hallgrimsson (1807- 1845) e dal "padre della patria" Jón Guðmundsson (1807- 1875), le premesse erano tutte già ben presenti. La campagna puristica ebbe un tale successo, che i prestiti danesi vennero quasi completamente eliminati. Solo alcuni termini ormai penetrati stabilmente nella lingua parlata ed amministrativa si salvarono, come ske 'accadere, succedere' (< dan. ske, corrisp. al ted. ge-schehen), fordæma "emettere una sentenza"’ (< dan. fordømme), gli avverbi kannske (o kannski) e máske "forse" (< dan. kanske, måske, lett. "può accadere, può darsi") ed alcuni sostantivi come blýantur "matita, lapis", fangelsi "prigione, carcere" e frímerki "francobollo" < danese blyant, fangelse, frimærke.

[modifica] Influenza di altre lingue

Gli influssi provenienti da altre lingue sono relativamente trascurabili. Certamente, in islandese sono presenti molti termini di origine latina, ma questi risalgono al periodo germanico comune e sono presenti in tutte le altre lingue germaniche, come kaupa "comprare" (dan. købe, ted. kaufen, gotico kaupjan < lat. cauponari), pappír "carta" (ted. Papier, ingl. paper < lat. papyrus) o keisari "imperatore" (ted. Kaiser, sv. kejsare < lat. Cæsar). Prestiti latini risalenti all'introduzione del Cristianesimo sono ad es. kredda "Credo, dogma" (< lat. credo) e predika "predicare" (< lat. prædicare; cfr. ted. predigen); più recenti i comunissimi náttúra "natura", persóna "persona" e partur "parte". Per quanto riguarda le lingue moderne, l'islandese è influenzato (negli ultimi tempi abbastanza pesantemente) solo dall'inglese, specialmente attraverso il linguaggio tecnico e delle giovani generazioni. Ma a differenza della nostra lingua, dove i termini inglesi vengono semplicemente trasportati così come sono (magari mantenendo il plurale in -s), in islandese essi vengono adattati alla fonetica ed alla morfologia locale. Così si hanno i pönkarar e i rokkarar (punk e rockettari) che ballano á parketi diskótekanna ("sul parquet delle discoteche") al suono dell' harðrokk (hard rock). Altri esempi dal linguaggio genericamente giovanile sono jóna "spinello, canna"”; ingl. joint), skinnhöfuð "skinhead", sápuópera "telenovela, soap opera".

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