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Fondo pensione

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I <Fondi pensione> o, propriamente, le <Forme pensionistiche complementari> sono stati oggetto di recente disciplina con il Decreto delegato 05/12/2005, n. 252 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Supplemento ordinario, n. 289 del 13/12/05 - Serie Generale - quando non diversamente indicato si darà per scontato il riferimento a detto decreto). Con l’espressione <forme pensionistiche complementari> si intendono forme diverse fra loro quali:


• Fondi pensione negoziali (detti anche “chiusi” o “ad ambito definito”) in cui l’adesione avviene su base collettiva tramite contratti e accordi collettivi che possono essere anche aziendali, ovvero, in mancanza, da accordi fra lavoratori. Essi sono destinati a lavoratori appartenenti a specifiche categorie e costituiscono il cosiddetto <secondo pilastro> del sistema pensionistico (vedi art. 3, 1° comma, lettera a del decreto delegato 05/12/2005, n. 252);

• Fondi pensione aperti in cui l’adesione può essere su base individuale oppure su base collettiva e che possono essere promossi da intermediari bancari, finanziari ed assicurativi. Sono rivolti a tutti i lavoratori indipendentemente dalla categoria di appartenenza (vedi artt. 12 e 6, 1° comma);


• Forme pensionistiche individuali in cui l’adesione è su base individuale e si realizza mediante sottoscrizione di un fondo pensione aperto oppure con la stipula di un contratto di assicurazione sulla vita con finalità previdenziali (vedi art. 13). Esse costituiscono il cosiddetto <terzo pilastro> del sistema previdenziale;

• Fondi pensione istituti dalle regioni in cui l’adesione è su base individuale o collettiva ma limitata territorialmente in quanto vi possono aderire solo i lavoratori che svolgono attività nel territorio della regione che li ha istituiti. Tali fondi sono istituiti con legge regionale nel rispetto della normativa nazionale in materia (vedi art. 3, 1° comma, lettera d);


• Fondi pensione preesistenti in cui l’adesione è su base collettiva. Si tratta dei fondi già istituiti al 15 novembre 1992, data di entrata in vigore della legge 23/10/92, n. 421 (recante delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, pubblico impiego, previdenza e finanza territoriale). Ne è esempio il “Fondo Cometa”. (vedi art. 20). Tali fondi sono iscritti in una sezione speciale dell’albo tenuto a cura della COVIP (vedi art. 20, 2° comma, ultimo periodo).

È opportuno ricordare come, sul piano legislativo, prima della ricordata normativa introdotta nel corso del 1992, la previdenza <non obbligatoria> (che si poteva definire <integrativa> per non confonderla con quella <complementare> nata con il D.Lgs 124/93) nel nostro paese si caratterizzava, sul piano legislativo, per la pressoché assenza di una normativa specifica. Le uniche indicazioni erano di natura generale e potevano essere individuate in alcuni articoli del codice civile, più precisamente:

►articoli 11 e seguenti del codice civile relativi alle associazioni riconosciute e non riconosciute ed alle fondazioni;

►articolo 2117 del codice civile che definisce la disciplina dei fondi costituiti direttamente dal datore di lavoro a fini di previdenza ed assistenza dei dipendenti: i cosiddetti <fondi interni>.

Fondo interno significa che lo schema previdenziale risulta sprovvisto di qualsiasi soggettività giuridica (e, conseguentemente di organi propri) ma consiste in una parte del patrimonio del soggetto che lo ha istituito, alla quale viene attribuito un “vincolo di destinazione”: le risorse del fondo sono, infatti, finalizzate all’erogazione delle future pensioni (l’art. 2117 del Codice civile stabilisce che “I fondi speciali per la previdenza e l’assistenza che l’imprenditore abbia costituito, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore o del prestatore di lavoro”).


►articolo 2123 del codice civile che stabilisce, tra l’altro, il diritto del lavoratore a vedersi liquidare gli accantonamenti effettuati nel fondo in caso di estinzione anticipata del rapporto di lavoro. (Fonte: La responsabilità degli amministratori e dei sindaci dei F.di pensione e i sistemi di controllo” a cura di R. Bruni – Bruni, Marino & Co. edizione 2004)

Quanto poi al fondamento costituzionale della previdenza complementare essa sarebbe rinvenibile nell’art. 38, 2° comma della Costituzione secondo il quale:



La Corte Costituzionale nella sentenza n. 393\00 affermava come tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare vi sia un collegamento funzionale che permette di collocare quest’ultima nel sistema dell’art. 38, 2° comma, della Costituzione, evidenziando una tendenza, ormai radicata nell’ordinamento, ad assegnare alla previdenza integrativa il compito di concorrere, in collegamento con quella obbligatoria, alla realizzazione degli scopi enunciati dall’art. 38, 2° comma, della Costituzione. Peraltro, secondo la Corte, in virtù del concorso di cui sopra, trovano giustificazione i limiti ed i vincoli addotti all’autonomia collettiva, per quanto attiene alla disciplina dell’accesso ai relativi trattamenti (cioè il fatto che il trattamento complementare erogato da un fondo negoziale decorra secondo i medesimi requisiti previsti per la maturazione del diritto a pensione nel sistema obbligatorio). In questo contesto si è inserita la riforma costituzionale varata nel 2001 (Governo di centro-sinistra) con la L. Cost. 18/10/2001, n. 3 (ma approvata dal Parlamento pochi giorni prima della fine naturale del Governo) con la quale si è riscritto l’art. 117 della Costituzione inserendo la <previdenza sociale> fra le materia in cui lo Stato ha legislazione esclusiva e inserendo la previdenza <complementare> e <integrativa> fra quelle di legislazione concorrente Stato – regioni (fatti salvi la determinazione dei principi fondamentali che rimangono riservati alla legislazione dello Stato). Volendo attribuire alla previdenza <integrativa> prevista dal nuovo art. 117 Cost. un significato preciso che la differenzi dalla previdenza <complementare>, un’ipotesi percorribile appare quella di intendere la previdenza integrativa come la previdenza privata tout court, garantita quindi dall’ultimo comma dell’art. 38 Cost. insieme con l’assistenza privata. Altrimenti sembrerebbe una fattispecie che scompare, visto che la previdenza complementare, come già detto nei paragrafi che precedono, è ricondotta nell’art. 38, 2° comma, Cost. Dando per esatta questa interpretazione del significato di previdenza integrativa (tanto più ai giorni nostri in cui è prevalsa la declinazione del concetto di sussidarietà in tutte le sue forme) si dovrebbe garantirne l’esplicazione al di fuori della disciplina della previdenza complementare.


LA FORMA GIURIDICA DEI FONDI PENSIONE NEGOZIALI


L’art. 4 del decreto definisce le forme giuridiche che possono essere assunte da un fondo pensione negoziale


L’art. 2 si occupa di due questioni fondamentali:


1. Individua i destinatari delle forme pensionistiche complementari, vale a dire i soggetti che vi potranno aderire; 2. Definisce le tipologia delle forme pensionistiche.

Per quanto riguarda il punto 1), esso è disciplinato dal 1° comma dell’art. 2. Possono aderire alle forme pensionistiche i seguenti soggetti:


a) lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati (per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni vedi infra), ivi compresi i lavoratori assunti in base alle tipologie contrattuali previste dal decreto delegato 273\03 (si tratta del decreto attuativo delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 30\03, meglio nota come “Legge Biagi”. Vedi l’approfondimento); b) lavoratori autonomi e liberi professionisti; c) soci lavoratori di cooperative; d) soggetti destinatari del decreto delegato 565\96 (questo decreto riguarda la <Mutualità pensioni> istituita, come gestione separata, presso l’INPS già con la L. 389\63 allo scopo di gestire l’assicurazione volontaria per la pensione delle casalinghe);


Per quanto riguarda il punto 2), il decreto opera una distinzione per classe sociale di appartenenza. Infatti, mentre per il mondo del lavoro dipendente, nelle sue diverse articolazioni, l’unica tipologia di pensione complementare consentita è quella in regime di <contribuzione definita>, per i lavoratori autonomi e liberi professionisti si prevede anche il regime di <prestazione definita>.


DIFFERENZA TECNICA TRA I DUE REGIMI: contribuzione definita e prestazione definita


Le forme in regime di contribuzione definita sono quelle che prevedono l’erogazione delle prestazioni in base al versamento di contributi definiti. In pratica le somme vengono versate in modo indipendente da quale sarà a scadenza la prestazione garantita. Nel momento in cui il lavoratore aderisce ad un fondo in regime di contribuzione definita non è a conoscenza della prestazione finale che conseguirà. Ciò che il lavoratore conosce in anticipo e l’importo della contribuzione che va ad alimentare il fondo. Le forme in regime di prestazioni definite sono quelle che prevedono invece una prestazione già definita, indipendentemente da come il fondo si comporterà sul piano finanziario. In questo caso ciò che il lavoratore conosce sin dal momento in cui sottoscrive il fondo è soltanto quale sarà la sua prestazione, mentre non può sapere quali saranno le somme da versare durante il periodo di iscrizione al fondo medesimo. Si può ben dire che il sistema pensionistico ante riforma Amato (D.Lgs 503\92) e, soprattutto, ante riforma Dini (L. 335\95), nonché ancora oggi limitatamente alle pensioni per i destinatari del sistema esclusivamente retributivo ovvero misto per la quota fino al 31\12\1995, fosse stato un sistema pensionistico pubblico a prestazione definita in quanto l’importo della pensione era legata all’importo dell’ultima (o alle ultime, a seconda dei casi) retribuzione percepita dal lavoratore dipendente. Ad una situazione del genere può essere ricondotta, ad esempio, anche la struttura del T.F.R. (vedi in tal senso il Consiglio nazionale degli attuari in: “osservazioni sui criteri di valutazione del TFR secondo i principi contabili internazionali” dd. 17\02\2005). Nel caso del TFR, infatti, l’impegno della società non è costituito esclusivmente dall’obbligo di effettuare una serie di accantonamenti annui (pari a circa il 7% della retribuzione percepita dai dipendenti), bensì comprende anche la garanzia nel tempo di una determinata rivalutazione finanziaria sugli accantonamenti effettuati correlata ad un parametro esterno alla società (il 75% dell’incremento annuo del costo della vista più il 1,5% di rivalutazione fissa). Proprio quest’ultimo obbligo determina, in definitiva, l’inquadramento del TFR nell’ambito dei programmi a prestazione definita. I lavoratori autonomi e i liberi professionisti possono costituire fondi con entrambi i regimi e qualora si dia vita ad un fondo in regime di prestazioni definite occorrerà far riferimento al reddito dei lavoratori oppure al livello del trattamento pensionistico obbligatorio (art. 2, 2° comma, lettera b del decreto).


DIFFERENZA “POLITICA” TRA I DUE REGIMI: contribuzione definita e prestazione definita


Una buona sintesi dei concetti sopraddetti si trova in un articolo apparto sul sito de “La Repubblica” a firma di G. Amato il 13\04\2001. L’allora Presidente del Consiglio dei Ministri scriveva infatti: “In termini più generali, la distribuzione del rischio è molto diversa nelle due tipologie pensionistiche: “in un sistema a contribuzione definita il rischio è sopportato essenzialmente dall’individuo, in un sistema a prestazione definita, il rischio tende ad essere sopportato dalla società nel suo complesso, distribuito tra i diversi gruppi”. La spiegazione era, peraltro, inserita in un intervento volto a promuovere il passaggio verso un sistema pensionistico con una componente a capitalizzazione cioè, per riprendere le parole di G.Amato, verso una “riforma strutturale che implica il trasferimento più o meno di tutte le risorse al settore privato, e sostituendo almeno in parte il sistema a ripartizione (quello pubblico attuale, peraltro già ampiamente demolito con l’introduzione del metodo di calcolo contributivo n.d.r.) con un sistema a capitalizzazione completa” Ed ancora: “con gli schemi pensionistici a capitalizzazione non è possibile adottare misure di ridistribuzione verticale o distribuire lo schema su diversi gruppi come avviene tradizionalmente nei sistemi a ripartizione. I sistemi pubblici a ripartizione sono anche in grado di garantire all’assicurato un’adeguata rete di sicurezza e un livello minimo di prestazione che costituisce un valido strumento di protezione contro la povertà”. Nonostante l’evidenza dei fatti, ben noti all’estensore dell’articolo citato, egli conclude dicendo che “nonostante i rischi e i costi dei sistemi a capitalizzazione, sarebbe forse saggio collegare gli schemi a ripartizione ad una componente a capitalizzazione”. Emblematica la spiegazione che l’autore illustra come una necessità ineludibile: “Un sistema pensionistico esclusivamente pubblico e a ripartizione appare sempre meno sostenibile non tanto in termini finanziari, le riforme recenti infatti hanno assicurato un sostanziale equilibrio del sistema nel lungo periodo (vedi il paragrafo dedicato ai dati desunti dal bilancio dell’INPS n.d.r.) ma a causa del trasferimento di risorse tra generazioni, tra la popolazione attiva e i pensionati. Sembra che a questo proposito stia venendo meno il consenso” Dello stesso tenore, anche un intervento pubblicato sul sito “La Voce” (Sito internet: http:\\www.lavoce.info) in data 24/01/2005 (“Meno sicurezza siamo inglesi”) in cui si evidenzia come la differenza tra i due sistemi (a prestazione definita e a contribuzione definita) riguarda i rischi e chi li sostiene: “In particolare nei sistemi a prestazione definita è principalmente il datore di lavoro che sostiene i rischi, ad esempio il rischio demografico di longevità”. Per quanto riguarda i sistemi a contribuzione definita: “Certo è che i giovani lavorati si troveranno sempre più a risparmiare per la vecchiaia… assumendosi la responsabilità delle loro scelte e anche più rischi”. Sullo stesso sito si trova anche un interessante articolo a firma di Esilio Donato (“Uno scandalo inglese”) in cui si racconta la vicenda dei piani previdenziali inglesi. Tra l’aprile del 1988 e il giugno 1994 (I Governi conservatori Thatcher e Major, già dal 1980, erano intervenuti sulla spesa pensionistica riducendola drasticamente), era stata promossa una campagna di vendita di prodotti previdenziali individuali assai simili alle polizze di assicurazione individuali che finirono con l’essere sottoscritti da due milioni di cittadini brittanici. Nel 1986 il Governo inglese emanò il <Social Security Act> con il quale offriva ai lavoratori inglese di trasferire le proprie posizioni pensionistiche dai fondi pensioni a prestazione definita ai conti individuali a capitalizzazione e contribuzione definita promossi e gestiti da intermediari finanziari. Intensa fu la campagna pubblicitaria finanziata dallo stesso Governo. Dopo anni di euforia drogata risultò che la “maggior parte dei clienti (cioè dei lavoratori n.d.r.) non era stata messa nelle condizioni di operare una scelta consapevole sulla convenienza dei prodotti offerti rispetto agli schemi previdenziali cui aderivano in precedenza. Nella maggior parte dei casi non era stata illustrata la differenza tra un prodotto a capitalizzazione, esposto al rischio di mercato, e uno schema pensionistico protetto, vuoi… dalla garanzia dello Stato, vuoi… dall’azienda sponsor nel caso dei piani a prestazione definita”. Ulteriore particolare importante: “Né erano state date informazioni adeguate sulla eventuale perdita di importanti benefici previsti nei piani pensionistici cui il lavoratore precedentemente aderiva, quali, ad esempio, la reversibilità al coniuge superstite, le coperture per invalidità e premorienza, l’indicizzazione delle prestazioni…” (l’Autorità di controllo in materia di regolamentazione e supervisione dei servizi finanziari, la Financial Services Authority, nel dicembre del 2001, ha stimato in circa 11,5 miliardi di sterline il costo complessivo del risarcimento imposto alle compagnie di assicurazione a fronte di 1,7 milioni di lavoratori colpiti). In buona sostanza si può ben dire sin d’ora che l’intera manovra sul trasferimento del TFR ai fondi pensione, come già ieri la riforma Amato e la riforma Dini, si giustifichi, dal punto di vista della classe dirigente di questo Paese, semplicemente con la necessità di drenare ulteriore risorse dal lavoro dipendente alla finanza speculativa.

Sulla riforma varata con la L. 335/95 vale la pena evidenziare come la COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione – sito internet: http://www.covip.it) nella sua “Relazione per l’anno 2003”, pag. 241, abbia scritto che:

“Le simulazioni prodotte mostrano da tempo quanto il sistema contributivo abbia ridotto il livello del tasso di sostituzione assicurato dalla previdenza pubblica rispetto alle prestazioni di tipo retributivo, ancora presenti. Ad esempio, le stime indicano che il tasso di sostituzione offerto dal regime obbligatorio a seguito delle riforme si abbasserà di quasi venti punti percentuali, passando dal 67,3% per un lavoratore dipendente del settore privato andato in pensione nel 2000 a 60 anni di età con 35 anni di contribuzione, al 48,1% per la pensione che percepirà nel 2050 un lavoratore dipendente con la stessa storia contributiva” Sempre la COVIP, documento citato, pag. 245, ricorda come “Nel mercato dei fondi pensione funziona in modo stringente l’equità attuariale, tanto che due lavoratori che hanno la stessa storia contributiva, ma non lo stesso sesso, avranno pensioni complementari diverse: a parità di tutte le altre condizioni. l’uomo godrà di un assegno maggiore rispetto a quanto spetterà alla donna”.

Ancora la COVIP, nella relazione del suo presidente prof. Luigi Scimìa al convegno “Montepaschi Vita Annual Forum 2006” svoltosi a Roma il 13/10/2006, ci da una definizione perfetta della ragione d’essere dei fondi pensione:

“I fondi pensione… raccolgono con regolarità i flussi di risparmio dei lavoratori che vengono tipicamente investiti in titoli rappresentativi del capitale di rischio e del debito di imprese private e pubbliche. Per tale via, il secondo pilastro previdenziale svolge innanzitutto un ruolo di <cerniera> fra il bisogno dei lavoratori di conseguire al momento del pensionamento una rendita pensionistica integrativa del trattamento obbligatorio e le esigenze di finanziamento dei piani produttivi delle imprese”. (pag. 2 documento citato)

Per quanto riguarda invece il rischio connesso ai fondi pensione, durante lo stesso convegno succitato il presidente della COVIP così diceva:

“Nel caso della previdenza complementare, non va tuttavia dimenticato che il sistema della contribuzione definita pone a carico del singolo individuo l’intero rischio derivante dall’investimento sui mercati finanziari e quello ulteriore e più grave di usufruire, alla fine della carriera lavorativa, di un’integrazione pensionistica insufficiente rispetto all’esigenza di mantenere il più possibile inalterato il proprio tenore di vita”. (pag. 12 documento citato)


I fondi pensione sono gli strumenti tecnici individuati dal legislatore per realizzare la pensione complementare, aggiuntiva rispetto a quella erogata dagli enti pensionistici obbligatori (Inps, Inpdap, ecc.).

Lo scopo di un fondo pensione dovrebbe essere quello di garantire prestazioni pensionistiche aggiuntive rispetto a quelle erogate dagli enti previdenziali obbligatori. Fino a qualche anno fa sono stati principalmente legati a specifiche categorie, come le banche e le assicurazioni, o a singole aziende che introducevano esperienze già realizzate in altri Paesi.

In Italia non hanno ancora avuto un grande sviluppo, probabilmente perché finora la copertura del sistema previdenziale pubblico è stata più che buona. Chi ha cominciato a lavorare dal 1993 (data da cui ha preso avvio la riforma pensionistica obbligatoria), è il parere degli esperti, non potrà fare a meno di una forma di pensione aggiuntiva rispetto a quella dell'INPS. Per i giovani lavoratori la futura pensione pubblica non assicurerà un adeguato livello di vita. Si sta pertanto affermando l'introduzione dei fondi pensione anche in Italia, dove la normativa è stata recentemente ridefinita dal decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005, il cui articolo 21, 8° comma ha abrogato espressamente il precedente D.Lgs 21 aprile 1993, n. 124 fatto salvo per quanto previsto dall'art. 23, 5° comma, del D.lgs 252\05. Secondo la normativa italiana i fondi pensione possono essere: fondi pensione ad ambito definito (o fondi chiusi) i cui destinatari sono specifiche categorie di lavoratori (ad esempio i metalmeccanici, i chimici, ecc.) ovvero fondi pensione aperti ai quali possono accedere indistintamente tutti i lavoratori. I primi sono costituiti in forma di associazione e sono istituiti mediante la contrattazione collettiva, i secondi sono dei "prodotti" istituiti da banche, assicurazioni, Sgr e collocati presso il pubblico.

Il fondo chiuso prevede il collocamento di numero limitato di quote rappresentative di un investimento(spesso immobiliare), terminato il quale non è più possibile la sottoscrizione di quote del fondo. L'assenza di un mercato secondario delle quote fra i vari acquirenti rende difficile una liquidazione anticipata delle proprie posizioni. Il guadagno che si può trarre da un fondo chiuso non deriva da una compravendia speculativa che punti ad un rialzo del valore delle quote comprate, quanto da una redditività sulle quote generata nel lungo periodo dal loro investimento.

Accanto a queste due categorie ne esiste una terza: i PIP o FIP, polizze individuali pensionistiche sottoscritte da una singola persona.


[modifica] Finanziamento

Le fonti di finanziamento dei fondi pensione sono la contribuzione del lavoratore, la contribuzione del datore di lavoro e il versamento del trattamento di fine rapporto (Tfr). L'aliquota della contribuzione è definita in sede di contrattazione collettiva. Nel caso dei lavoratori autonomi la sola fonte di finanziamento è rappresentata dal contributo dell'aderente.

Al fine di incentivare l'adesione ai fondi pensione la normativa prevede l'applicazione di un regime fiscale agevolato per i versamenti alla previdenza complementare. Il Tfr affluisce al fondo pensione senza subire alcuna tassazione, allo stesso modo la contribuzione del datore di lavoro e quella del lavoratore sono deducibili dal reddito. La deducibilità si applica fino ad un limite massimo di 5.127 Euro (vecchi 10 milioni di lire) e comunque con un tetto del 12% del reddito imponibile.


[modifica] Funzionamento

Le risorse raccolte dai fondi pensione vengono investite nei mercati finanziari al fine di produrre un rendimento che va ad aggiungersi alla contribuzione tempo per tempo versata nelle posizioni individuali. Essi sono quindi gestiti secondo il sistema tecnico finanziario della capitalizzazione.

L'ammontare delle prestazioni previdenziali dipenderà pertanto dai contributi versati, del periodo di permanenza nel fondo e dal rendimento ottenuto dall'investimento del patrimonio.

Al fine di garantire la natura previdenziale dell'investimento la normativa ha stabilito una serie di norme di tutela:

  • obbligo di individuazione dei gestori in base a una selezione pubblica condotta con criteri determinati dall'autorità di vigilanza;
  • obbligo di individuazione di una banca depositaria presso la quale deve essere depositato il patrimonio (liquidità e titoli);
  • indicazione dei criteri e dei vincoli agli investimenti;
  • imposizione di regole di gestione dei conflitti di interesse;
  • compiti di ispezione e controllo affidati all'autorità di vigilanza (Covip).


[modifica] Prestazioni

La prestazione tipica di un fondo pensione è l'erogazione di una rendita (pensione) all'iscritto a partire dal momento del pensionamento. È comunque consentita la facolta di optare per una liquidazione in capitale (soluzione unica) per un importo che non ecceda il 50% del montante finale accumulato. In alcuni casi specifici (ad esempio montante finale non significativo) è consentita una liquidazione del 100% in capitale.

Per garantire flesibilità al sistema sono previste ulteriori forme di prestazioni che scattano al verificarsi di precisi eventi o di esigenze che possono verificarsi negli anni di permanenza nel fondo pensione:

  • in caso di cessazione dei requisiti di partecipazione (es. licenziamento o dimissioni dall'azienda) l'importo maturato può essere riscattato o trasferito ad altro fondo pensione);
  • in caso di acquisto di prima casa per sé o per i figli, ovvero per spese mediche straordinarie può essere richiesto un anticipo su quanto accumulato;
  • in caso di morte o invalidità dell'iscritto l'importo maturato viene riscattato dal coniuge, in mancanza del coniuge dai figli, in mancanza di coniuge e figli dai genitori purché conviventi e a carico dell'iscritto. In mancanza di queste figure, il riscatto può essere destinato a qualunque beneficiario indicato dall'iscritto.
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