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Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions Convenzione sulla Diversità Biologica - Wikipedia

Convenzione sulla Diversità Biologica

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Indice

[modifica] Storia e generalità

Adottata a Nairobi, Kenya, il 22 maggio 1992, la Convenzione sulla Diversità Biologica, o CBD, è stata ratificata ad oggi da 188 paesi, chiamati spesso Parti dalla traduzione impropria del termine inglese Parties. La Convenzione è stata aperta alla firma dei paesi durante il Summit Mondiale dei Capi di Stato di Rio de Janeiro nel giugno 1992 insieme alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ed alla Convenzione contro la Desertificazione, per questo denominate le tre Convenzioni di Rio.

La Convenzione sulla Biodiversità è considerata la più onnicomprensiva in quanto i suoi obiettivi si applicano praticamente a tutti gli organismi viventi della terra, sia selvatiche che selezionate dall'uomo. Molte delle altre convenzioni o degli accordi internazionali hanno ambiti precisi, e spesso limitanti, dentro i quali lavorare come ad esempio liste di specie da proteggere o criteri precisi per la definizione di aree da porre sotto specifici regimi di tutela. Al contrario la CBD esprime degli obiettivi generali, lasciando agli stessi paesi la decisione di determinare gli obiettivi specifici e le azioni da realizzare a livello nazionale.

[modifica] Obiettivi

La CBD dunque non ha alcuna lista di specie da proteggere o siti da gestire; ha tre obiettivi primari:

  1. La conservazione della diversità biologica,
  2. L'uso sostenibile delle sue componenti, e
  3. La giusta ed equa divisione dei benefici dell'utilizzo di queste risorse genetiche, compreso attraverso un giusto accesso alle risorse genetiche ed attraverso un appropriato trasferimento delle tecnologie necessarie […]”.

Inoltre, nel secondo Summit della Terra tenutosi 10 anni dopo il primo nel 2002 a Johannesburg in Sud Africa, i governanti del mondo hanno dato alla Convenzione il mandato di ridurre significativamente la perdita di biodiversità entro il 2010, ossia il cosiddetto Target 2010.

Nel suo articolo 2, la convenzione spiega il termine diversità biologica come “la variabilità tra organismi viventi di qualsiasi tipo compresi, tra gli altri, quelli terrestri, marini e di altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici dei quali questi sono parte; questo include la diversità all'interno delle specie, tra le specie e degli ecosistemi”.

Le risorse biologiche sono considerate “le risorse genetiche, gli organismi o parti di essi, le popolazioni, o ogni altra componente biotica degli ecosistemi con uso o valore reale o potenziale per l'umanità”.

Il termine biodiversità ha una grande rilevanza a livello politico e rappresenta una notevole innovazione per il lavoro di conservazione della natura. La biodiversità infatti in qualche modo rappresenta un gradino superiore rispetto a quella che un tempo era la conservazione delle specie o delle aree protette in quanto, per effettuarsi, deve integrarsi con le politiche sociali ed economiche.

[modifica] L'approccio ecosistemico o Ecosystem Approach

Un'altra grande innovazione della CBD è infatti quella di mettere in relazione la produttività di un ambiente naturale con la sua biodiversità. La convenzione, infatti, parte dal presupposto che il mantenimento della biodiversità di un dato ecosistema sia vitale per la produttività di questi ecosistemi e della loro capacità di fornire i servizi che servono all'uomo.

La Convenzione ha infatti elaborato l'"approccio ecosistemico", ossia una metodologia generale per l'attuazione della convezione, che prevede la comunità umana come parte integrante degli ecosistemi e dei meccanismi che li regolano e non come "elemento disturbatore" dell'equilibrio naturale come secondo i criteri conservazionistici.

L'approccio ecosistemico è stato sintetizzato, durante la quinta conferenza delle parti, in 12 principi (vedi tabella) che possono essere sintetizzati in pochi punti salienti.

N. Principio
1 La gestione delle risorse naturali sono il risultato di una scelta sociale
2 La gestione dovrà essere decentralizzata, a partire dai livelli strutturali più bassi
3 La gestione deve tener conto degli effetti delle attività praticate nelle adiacenze
4 È necessario considerare l'ecosistema in un contesto economico
5 La gestione deve considerare attentamente e scientificamente la struttura, il funzionamento e la conservazione degli ecosistemi
6 Gli ecosistemi devono essere gestiti entro i limiti delle loro funzioni
7 La programmazione delle attività negli ecosistemi deve prevedere scale spaziali e temporali adeguate
8 Si deve riconoscere la variabilità delle scale temporali e gli effetti ritardo che caratterizzano i processi degli ecosistemi, gli obiettivi devono essere identificati con una visione di lungo termine
9 Si deve accettare che il cambiamento dell'ecosistema è inevitabile
10 Bisogna stabilire un equilibrio tra la conservazione e l'uso della diversità biologica
11 Si deve tener conto di tutte le informazioni rilevanti, incluse quelle scientifiche, innovative e quelle provenienti dalle tradizioni indigene
12 Si devono coinvolgere tutti i settori sociali e scientifici di rilievo
  1. Le comunità che vivono in un'area sono responsabili della biodiversità che li circonda. Responsabilizzare le comunità locali riguardo la gestione delle risorse naturali ha una serie di effetti positivi quali: a) le comunità locali posseggono una conoscenza migliore dei meccanismi dell'ambiente che li circonda; b) sono maggiormente interessate al mantenimento a mantenere la produttività di un ecosistema; c) devono essere coinvolte nel processo decisionale riguardo l'uso o meno di una data risorsa e d) devono essere parte della ripartizione dei benefici.
  2. La sostenibilità si regge su tre pilastri: ambientale, economico e socio-culturale. Per garantire che la gestione di una risorsa sia durevole, tutti e tre gli ambiti devono essere rispettati, infatti nessuna attività potrebbe svolgersi se: a) crea un danno ambientale tale da compromettere lo sfruttamento della risorsa in futuro o addirittura la produttività dell’ecosistema; b) i costi totali dell’attività di sfruttamento soano maggiori dei ricavi c )l'impatto nella struttura sociale e culturale delle comunità locali è negativo.
  3. Per gestire un ambiente bisogna unire le conoscenze scientifiche e quelle tradizionali. Quello di integrare le conoscenze scientifiche con i sistemi tradizionali di uso delle risorse ambientali si è rivelato un approccio necessario. Spesso le conoscenze ed i sistemi tradizionali sono il frutto di secoli di convivenza fra uomo ed ambiente: tempi e opportunità di osservazione che la scienza molto raramente si può permettere.
  4. Attività di gestione devono essere attuate attraverso il sistema di adaptive management. Il sistema dell’adaptive management non è altro che la standardizzazione di un sistema di ciclo di progetto che consente di riorientare periodicamente le attività sulla base dei successi o degli errori che il progetto ha fatto.

Sulla base anche dell’approccio ecosistemico sono stati identificati i principi di Addis Abeba sull’uso sostenibile della biodiversità. Tali principi, discussi in una serie di workshop regionali e finalizzati ad Addis Abeba sono stati presentati, discussi ed approvati alla settima Conferenza delle Parti a Kuala Lumpur.

Anch'essi fanno riferimento ad un sistema di gestione di tipo adaptive management in quanto le conoscenze scientifiche che si hanno al momento non riescono ancora ad identificare dei meccanismi sicuri per garantire che l'uso di una componente della biodiversità sia veramente sostenibile.

I principi di Addis Abeba, quindi, pongono grande enfasi sul fatto che per utilizzare la biodiversità in maniera sostenibile bisogna monitorare la risorsa utilizzata in maniera periodica in modo da verificare continuamente che il prelievo non intacchi lo stock iniziale. Qualora si riscontri che le attività di prelievo abbiano un impatto troppo negativo allora le attività devono essere riorientate verso un prelievo più conservativo.

I servizi degli ecosistemi a cui si riferisce il testo della Convenzione si possono raggruppare in

  • Servizi di fornitura: ad es. cibo, acqua, legno e fibre;
  • Servizi di regolazione: ad es. stabilizzazione del clima, assesto idrogeologico, barriera alla diffusione di malattie, riciclo dei rifiuti, qualità dell'acqua;
  • Servizi culturali: ad es. i valori estetici, ricreativi e spirituali;
  • Servizi di supporto: ad es. formazione di suolo, fotosintesi, riciclo dei nutrienti.

[modifica] Il programma della convenzione

[modifica] Gli organismi

La Conferenza delle Parti (o COP dall'inglese Conference of the Parties), ossia l'assemblea generale di tutti i paesi firmatari, è l'organismo che governa la Convenzione e che ne è responsabile per la sua realizzazione attraverso le decisioni che prende nelle riunioni biennali. L'ottava COP, la più recente, si è svolta dal 13 al 31 marzo 2006 a Curitiba, Brasile, e si stima vi abbiano partecipato circa 6.000 persone. La precedente COP 7 si era tenuta nel 2004 a Kuala Lumpur in Malesia.

Al fine di assicurare un fondamento scientifico alle decisioni della COP, la Convenzione si è dotata di un organismo tecnico chiamato SBSTTA (dall'inglese Subsidiary Body for the Technical, Technological and Scientific Advice, ossia l'organo sussidiario per la consultazione scientifica, tecnica e tecnologica). I membri di questo organismo sono tecnici e scienziati specializzati nelle diverse aree di lavoro della Convenzione che si riuniscono due volte l'anno. Le riunioni del SBSTTA si tengono generalmente nella sede del Segretariato della Convenzione a Montreal in Canada.

Gli altri organi tecnici della Convenzione sono gli AHTEG e i gruppi di lavoro Open Ended.

Gli AHTEG, acronimo della forma inglese Ad Hoc Technical Expert Group, sono gruppi tecnici di lavoro ristretti a cui partecipano solo 2 esperti per ogni regione delle Nazioni Unite, scelti dal Segretariato sulla base dei Curricula proposti dalle Parti. Questi gruppi sono generalmente utilizzati per iniziare il lavoro tecnico in un programma o per sviluppare un tema specifico all'interno di un programma. Il risultato del lavoro di un AHTEG viene quindi presentato al SBSTTA, che ha la possibilità di modificarlo prima di presentarlo alla Conferenza delle Parti per eventuali ulteriori modifiche e approvazione finale.

Le riunioni degli AHTEG vengono generalmente svolti in paesi che si offrono di ospitare. Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio italiano ha ospitato un AHTEG sulla Responsabilità e il risarcimento in ambito di biosicurezza (Roma, 2002), sulla Biodiversità montana (Roma, 2003), ed uno sulla Valutazione del rischio in ambito biosicurezza (Roma, 2005).

La partecipazione ai gruppi di lavoro Open Ended, invece, è aperta a tutti i delegati che una Parte decide di nominare; questi gruppi continuano i lavori nel tempo fino al raggiungimento di una conclusione. I gruppi Open Ended presentano i risultati dei loro lavori direttamente alla Conferenza delle Parti. Al momento esistono solo 4 gruppi Open Ended attivi e sono quello sull'accesso alle risorse genetiche ed equa condivisione dei benefici, sull'Articolo 8(j) ossia sull'integrazione delle conoscenze tradizionali e delle comunità indigene nella gestione della biodiversità, sulla revisione del processo di implementazione della Convenzione stessa e sulle aree protette.

I gruppi di lavoro Open Ended, essendo a partecipazione molto più ampia, risultano più onerosi da ospitare, e vengono quindi generalmente organizzati nella sede del Segretariato a Montreal. Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio italiano ha ospitato il primo Gruppo di Lavoro Open Ended sulle aree protette, con circa 700 esperti da tutto il mondo (Montecatini Terme, 2005).

COP data e luogo Punti principali in agenda
COP 1 (1994) Nassau, Bahamas Guida al meccanismo finanziario; Programma di lavoro a medio termine
COP 2 (1995) Jakarta, Indonesia Biodiversità marina e costiera; Accesso alle risorse genetiche; Conservazione e uso sostenibile delle diversità biologica; Biosicurezza
COP 3 (1996) Buenos Aires, Argentina Biodiversità agricola; Risorse finanziarie e meccanismi; Identificazione, monitoraggio e assessment; Diritti di proprietà intellettuale
COP 4 (1998) Bratislava, Slovakia Ecosistemi delle acque interne; Verifica delle operazioni della Convenzione; Articolo 8(j) e argomenti collegati (conoscenze tradizionali); Divisione dei benefici
COP 5 (2000) Nairobi, Kenia Ecosistemi di zone aride, mediterranee, semi-aride, praterie e savane; Uso sostenibile, compreso il turismo; Accesso alle risorse genetiche
COP 6 (2002) L'Aja, Olanda Ecosistemi forestali; Specie aliene; Divisione dei benefici; Piano strategico della convenzione 2002-2010
COP 7 (2004) Kuala Lumpur, Malesia Ecosistemi montani; Aree protette; Trasferimento di tecnologie e cooperazione tecnologica
COP 8 (2006) Curitiba, Brasile Biodiversità delle isole; Zone aride e sub-umide; Iniziativa Globale sulla Tassonomia; Accesso alle risorse Genetiche ed equa Condivisione dei Benefici (ABS); Articolo 8(j); Educazione, comunicazione e sensibilizzazione

La Conferenza delle Parti ha suddiviso il lavoro della Convenzione in programmi tematici e in aree di lavoro trasversali.

I programmi tematici sono:

  • Biodiversità agricola
  • Biodiversità delle zone aride e sub-umide
  • Biodiversità forestale
  • Biodiversità delle acque interne
  • Biodiversità marina e costiera
  • Biodiversità delle isole

Le aree di lavoro trasversali sono:

  • Accesso e divisione dei benefici
  • Specie aliene
  • Articolo 8(j): conoscenze tradizionali, innovazioni e pratiche
  • Diversità biologica e turismo
  • Cambiamenti climatici e diversità biologica
  • Economia, commercio e incentivi
  • Approccio ecosistemico
  • Strategia globale per la conservazione delle piante
  • Iniziativa di tassonomia globale
  • Valutazione d'impatto
  • Responsabilità e risarcimento
  • Indicatori
  • Aree protette
  • Educazione e sensibilizzazione
  • Uso sostenibile della biodiversità

[modifica] La conservazione in-situ ed ex-situ e il programma di lavoro sulle aree protette

Le attività di conservazione in-situ (descritte in dettaglio nell'articolo 8 della Convenzione) sono quelle effettuate nell'ambiente naturale in cui le specie oggetto di conservazione vivono. Ne fanno quindi parte le attività e le politiche riguardanti le aree protette e le reti ecologiche, la gestione della fauna, le attività forestali e di gestione e conservazione della flora, le strategie e i piani di uso del suolo, e in maniera minore anche le politiche agricole e di pesca.

Il testo della Convenzione prevede che, in casi eccezionali, le attività di conservazione si possono svolgere al di fuori dall'ambiente naturale dei taxa specifici. Si parla quindi di pratiche ex-situ (articolo 9). Ne fanno parte ad esempio le banche genetiche e dei semi, le colture microbiche o tissutali in-vitro, ma anche le attività di captive breeding di animali e/o piante con rilascio in natura, e quindi anche i più classici zoo, acquari e giardini botanici.

L'Articolo 2 della Convenzione definisce un'Area Protetta come "un'area geograficamente definita che è designata o regolata e gestita per raggiungere determinati obiettivi di conservazione".

Nonostante quello delle aree protette sembri essere uno dei temi trasversali di maggiore importanza per il raggiungimento del primo obiettivo della Convenzione, per decidere di sviluppare un programma di lavoro specifico si sono dovuti aspettare ben 12 anni da quando la Convenzione è stata presentata a Rio.

Il programma di lavoro sulle aree protette è stato infatti ufficialmente adottato dalla Convenzione con Decisione VII/28 durante i lavori della settima Conferenza delle Parti, dove ha rappresentato uno degli argomenti politicamente più difficili. Molti paesi partecipanti ai lavori della Convenzione infatti hanno sempre preferito dare enfasi ai programmi potenzialmente più "remunerativi", quali accesso alle risorse genetiche, il trasferimento di tecnologie, l?uso sostenibile ecc., piuttosto che a quelli più "costosi" come le aree protette.

La necessità di identificare un programma di lavoro chiaro e con obiettivi precisi, nasceva anche in quanto il Summit della Terra di Johannesburg nel 2002 (paragrafo 44, g del piano di implementazione) ha dato mandato ufficiale alla CBD di supportare iniziative per le aree hotspot e altre aree essenziali per la biodiversità e di promuovere lo sviluppo di reti ecologiche e corridoi sia a livello nazionale che regionale.

Il Segretariato CBD ha quindi organizzato un processo per la preparazione del testo del programma di lavoro. Il processo è iniziato con una riunione di un gruppo di esperti ad-hoc (AHTEG) che si è svolto a Tjarno, in Svezia, nel Giugno 2003, con il mandato di identificare una prima bozza del programma di lavoro sulle aree protette. Tale bozza è stata quindi revisionata dal SBSTTA nella sua nona riunione a Montreal per essere infine approvata dalla settima Conferenza delle Parti a Kuala Lumpur.

Il processo è stato influenzato dal fatto che, fra la riunione dell'AHTEG e quella del SBSTTA, si sia svolta a Durban, in Sud Africa il quinto Congresso Mondiale sui Parchi organizzato dall’IUCN. Al Congresso di Durban si è formato un ulteriore gruppo di lavoro che ha preparato una serie di indicazioni utili a migliorare la prima bozza del programma di lavoro appena preparato dall'AHTEG.

Il Programma di Lavoro sulle Aree Protette della CBD ha, come obiettivo principale, quello di: supportare la designazione e la conservazione, entro il 2010 per le aree terrestri ed entro il 2012 per le aree marine, di sistemi nazionali e regionali completi, gestiti efficientemente, ed ecologicamente rappresentativi di aree protette che collettivamente contribuiscano, anche attraverso una rete globale, al raggiungimento dei tre obiettivi della Convenzione ed all’obiettivo 2010 di ridurre significativamente l’attuale tasso di perdita della biodiversità a livello globale, regionale, nazionale e sub regionale, e che contribuiscano a ridurre la povertà ed il raggiungimento di sviluppo sostenibile, supportando quindi gli obiettivi del Piano Strategico della Convenzione, il piano di realizzazione del WSSD e gli obiettivi di sviluppo del millennio.

Per dare enfasi al programma di lavoro sulle aree protette, che è parte integrante della strategia di conservazione in-situ, l'Italia ha finanziato e ospitato, nel giugno 2005 a Montecatini Terme, la prima riunione del gruppo di lavoro ad-hoc sulle aree protette. Alla riunione hanno partecipato più di 700 esperti da tutto il mondo ed i risultati sono stati poi presentati alla ottava Conferenza delle Parti di Curitiba, Brasile.

La proposta italiana di finanziare ed ospitare la riunione era nata durante la settima Conferenza delle Parti, nel 2004 a Kuala Lumpur, Malesia, quando le negoziazioni sembravano avere raggiunto uno stallo sull'uso dei fondi della Convenzione. La riunione del gruppo sulle aree protette, fortemente voluto dai paesi dell'Unione Europea, non era fra le priorità di molti paesi e non sarebbe mai stato organizzato se l'Italia non si fosse offerta.

Il successo della riunione di Montecatini ha fatto sì che l'ottava Conferenza delle Parti decidesse di proseguire le riunioni su finanziamento proprio, dando finalmente un vero e proprio avvio al lavoro della CBD sulle aree protette.

[modifica] Il meccanismo di Clearing-House (CHM)

La CBD richiede alle Parti la creazione di un sistema per lo scambio delle informazioni: una vera e propria bacheca dove la domanda e l'offerta di informazioni e di esperienze si incontrano e si bilanciano.

Il termine è stato mutuato da un meccanismo del mondo bancario chiamato appunto Clearing-House o, in italiano, stanza di compensazione. Il CHM è il meccanismo che le banche utilizzano quando raccolgono gli assegni emessi, li suddividono per banca di emissione, sommano gli importi a debito e a credito in modo da trasferire in denaro contante solamente il totale in valore assoluto: evitando così molte duplicazioni.

Il meccanismo per lo scambio di informazioni ambientali intende quindi mettere a confronto esperienze fatte in un luogo in cui domanda e offerta si incontrano. Il fine principale e quello di evitare la duplicazioni degli sforzi (spesso la duplicazione degli errori più che la duplicazione dei successi)con un enorme risparmio di risorse.

Il CHM viene istituito in quanto la CBD riconosce l’importanza della ricerca scientifica e dell’avanzamento tecnologico nel miglioramento continuo del suo programma e nel raggiungimento dei propri obiettivi.

[modifica] Gli obblighi delle parti della Convenzione sulla Diversità Biologica

Il testo della Convenzione sulla Diversità Biologica specifica gli obblighi delle Parti:

  • Sviluppare delle strategie nazionali, piani o programmi per la conservazione e l'uso sostenibile della diversità biologica […].”
  • Integrare, per quanto possibile ed appropriato, la conservazione e l'uso sostenibile della diversità biologica nei piani di settore rilevanti, nei programmi e nelle politiche”.

Nei piani e nelle strategie per la biodiversità, ogni Parte della Convenzione deve:

  1. Identificare le componenti della diversità biologica importanti per la conservazione e l'uso sostenibile;
  2. Effettuare un monitoraggio, attraverso campionamento o altre tecniche, sulle componenti della diversità biologica identificate nel paragrafo precedente, ponendo particolare attenzione a quella che necessita misure urgenti di conservazione e quelle che offrono il potenziale maggiore per uso sostenibile (quindi importanti da un punto di vista economico);
  3. Identificare processi e categorie di attività che hanno o potrebbero avere degli impatti negativi importanti sulla conservazione e sull'uso sostenibile della diversità biologica ed effettuare un monitoraggio sui loro effetti attraverso campionamenti o altre tecniche;
  4. Mantenere ed organizzare in forma utile ed accessibile i dati provenienti dalle attività in 1, 2 e 3.

Sulla base di queste indicazioni della Convenzione, molti paesi, spesso con l'aiuto dell'UNEP, hanno finalizzato ricerche e preparato studi di insieme sulla diversità biologica nazionale. Questi studi sono spesso preparati con l'aiuto di organizzazioni internazionali o nazionali specializzate e con il supporto economico, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, di agenzie bilaterali o multilaterali di cooperazione allo sviluppo o del GEF, lo strumento finanziario della Convenzione. Questi studi generalmente comprendono un'analisi della biodiversità del paese, dell'importanza delle varie componenti della biodiversità nell'economia nazionale e dei principali rischi che specifici settori della biodiversità corrono.

Sulla base dei primi studi nazionali sulla biodiversità (Bahamas, Canada, Costa Rica, Germania, Indonesia, Kenya, Nigeria, Polonia, Thailandia e Uganda), l'UNEP ha preparato un manuale per la preparazione degli studi nazionali della biodiversità. Secondo questo manuale, uno studio nazionale deve:

  • Identificare le componenti della biodiversità importanti per la conservazione e l'uso sostenibile;
  • Raccogliere e valutare i dati necessari per effettuare un monitoraggio delle componenti della biodiversità;
  • Identificare i processi e le attività che mettono a rischio la biodiversità;
  • Valutare le potenziali implicazioni economiche della conservazione e dell'uso sostenibile delle risorse biologiche (ossia i costi);
  • Determinare il valore economico delle risorse biologiche e genetiche (ossia i benefici);
  • Suggerire azioni prioritarie per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità.

Dopo che lo studio nazionale è completato, il paese deve redigere una Strategia Nazionale per la Biodiversità. Ossia un documento che riassume le principali strategie che saranno messe in atto per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità. Alla preparazione della strategia nazionale seguono i Piani di Azione sulla biodiversità. Questi sono dei documenti che, settore per settore, identificano le azioni e gli obiettivi che si intendono mettere in atto, i modi e i tempi.

I Piani d'Azione vengono preparati sulla base degli studi e della strategia descritti in precedenza ma in partecipazione con i settori interessati. Il coinvolgimento dei settori interessati richiede un impegno gravoso ma importante al fine di integrare le necessità di conservazione della biodiversità nei diversi settori produttivi di un paese. Anche questo approccio partecipativo rappresenta una delle innovazioni della CBD. L'insieme della strategia e dei piani d'azione sulla biodiversità viene spesso indicato con l'acronimo NBSAPs dall'inglese National Biodiversity Strategy and Action Plans.

Quindi, per fare degli esempi, il piano d'azione dell'agricoltura sarà un piano concertato insieme e in accordo con le associazioni di coltivatori, il sistema dei distributori, le associazioni dei proprietari terrieri, e le comunità locali (ad esempio comunità montane, comunità di bacino). Il piano dovrà identificare azioni per la conservazione e uso sostenibile della biodiversità agricola senza che ciò sia a discapito dell'economia rurale delle aree interessate. Il piano d'azione della pesca dovrà coinvolgere le associazioni di pescatori e di tutta la filiera dei prodotti ittici e creare azioni per fare sì che le attività di pesca non intacchino lo stock delle specie target né abbiano un impatto sulla biodiversità marina in genere.

Quello dell'integrazione delle necessità di conservazione della biodiversità nelle politiche economiche di settore è al momento considerata da molti una delle sfide politiche più importanti per la conservazione. La Commissione Europea, che ha finalizzato la strategia sulla biodiversità a livello di Comunità Europea nel Febbraio 1998, ha identificato l'integrazione come una delle attività chiave della strategia.

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