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Alexander Hamilton Stephens

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Alexander Hamilton Stephens, Vice Presidente confederato
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Alexander Hamilton Stephens, Vice Presidente confederato

Alexander Hamilton Stephens (11 febbraio 1812 - 4 marzo 1883), Vice Presidente degli Stati Confederati d'America, un uomo dalle eminenti abilità naturali, nell'esercizio intellettuale, nell'esercizio del governo e nelle virtù morali. Nipote di un soldato di George Washington, fu uno di quei grandi uomini che credettero fermamente nell'impresa dell'indipendenza avviata dai popoli del Sud nel 1861. Era nato in Georgia, presso Crawfordsville, dove è sepolto e dove un monumento erettogli dal popolo parla della sua fama.

Indice

[modifica] Studi e prime attività politiche

Educato nella sua prima gioventù nelle scuole del suo tempo, si laureò nel 1832 all'età di vent'anni e fu ammesso all'Ordine degli Avvocati nel 1834. La pratica della professione si era appena aperta quando fu chiamato ad entrare nella lunga e insigne carriera politica che avrebbe dato al suo nome un posto estremamente prominente nella storia americana.

Nonostante declinasse gli onori politici e mirasse a proseguire senza interruzione una vita professionale, fu forzato dalla sua circoscrizione a rappresentarla in un incarico politico. La sua contea lo elesse nel 1836 alla legislatura dello Stato, e ripeté la scelta finché egli, nel 1841, declinò fermamente la rielezione. Ma nel 1842 fu eletto Senatore dello Stato.

Il suo curriculum di legislatore dello Stato lo mostra diligente nel proteggere tutti gli interessi comuni e nel migliorare il benessere dello Stato. Le sue prime apparizioni nella vita pubblica fecero subito intravedere quella carriera nella quale si sarebbe guadagnato il titolo di The Great Commoner. La sua prima elezione al Congresso degli Stati Uniti ebbe luogo nel 1843, dopodiché egli prestò servizio per sedici anni distinguendosi in modo costantemente crescente finché nel 1859 non tornò a vita privata per sua stessa scelta, e si congratulò prematuramente con i suoi elettori supponendo a quel tempo che tutte le questioni pericolose fossero state pienamente composte. Egli era stato uno strenuo propugnatore delle misure di compromesso del 1850, ed avendo successivamente partecipato alla composizione dei disordini del Kansas, ne aveva accettato i risultati come la fine di un conflitto settoriale, almeno per quanto riguardava il Sud.

[modifica] Dalla Georgia alla Confederazione

La campagna presidenziale del 1860 lo trovò sostenitore dell’elezione di Stephen A. Douglas, per il quale egli guidò la campagna elettorale in Georgia. L’elezione di Lincoln lo allarmò, ritenendolo di disturbo per la composizione delle dispute ed una minaccia per l’Unione, ma con ardente devozione alla repubblica degli Stati sotto la Costituzione, egli tentò di evitare la secessione, proponendosi di combattere l’amministrazione dei Repubblicani dall’interno dell’Unione, e, in caso di fallimento, di invocare una separazione concertata per tutti gli Stati del Sud. Fu eletto membro della Convenzione della Georgia del 1861, e dopo strenui sforzi per ritardare l’approvazione di un’ordinanza di secessione separata dello Stato, quando l’atto fu approvato spese tutte le sue energie per sostenere la Confederazione. Le sue obiezioni erano sulla convenienza di una secessione immediata e non sul diritto del suo Stato a secedere.

La Convenzione saggiamente lo scelse quale delegato al Congresso Provvisorio che si riuniva a Montgomery, e che lo nominò unanimemente Vice Presidente degli Stati Confederati, incarico abbinato automaticamente alla Presidenza del Senato Confederato. Per il suo talento e l’influenza posseduta in tutto il Sud il suo servizio fu immediatamente utile, non solo nell’assistere all’organizzazione del governo confederato, ma nello sforzo generale di indurre tutti gli Stati del Sud ad unirsi a coloro che già avevano posto in atto la secessione. Per questo egli fu incaricato di trattare con la Virginia per conto della Confederazione e gli riuscì di guadagnarsi quel prezioso Stato persino prima che la sua ordinanza di secessione fosse formalmente ratificata dal popolo.

Nell’approntamento della Costituzione Confederata la sua esperienza di uomo di Stato e la profonda familiarità con i principi del governo furono di grande valore. Quello strumento era un miglioramento, secondo lui, della Costituzione degli Stati Uniti, e meritava la sua calorosa raccomandazione anche se alcuni principi che egli aveva caldeggiato non erano stati adottati. Disse della suprema Carta della nuova Repubblica: "L’intero documento nega totalmente l’idea che così tante persone hanno attivamente tentato di inserire in durevole forma nerlla storia, che la Convenzione di Montgomery non fosse altro che un insieme di cospiratori il cui obiettivo era il sovvertimento dei principi della Costituzione degli Stati Uniti, e l’erezione di una grande oligarchia schiavista invece che la stabilità e la garanzia delle libere istituzioni. Questo lavoro della Convenzione di Montgomery, con quello della Costituzione per un governo provvisorio, rimarrà sempre non solo come un monumento di saggezza, lungimiranza e capacità degli uomini di Stato che l’hanno realizzato, ma anche una duratura confutazione delle accuse che sono loro state rivolte."

Stephens approvava completamente la politica di pace proposta dal governo confederato, che fu manifestata inviando commissari a Washington senza indugio. Stupefatto del trattamento ricevuto da questi eminenti gentiluomini, denunciò vigorosamente la doppiezza di Seward che aveva dichiarato la sua opinione che Lincoln era stato persuaso a cambiare la sua politica originaria. Il tentativo di rinforzare Sumter, alla luce dell’inganno praticato verso i commissari, fu da lui giudicato "atroce" e "più che una dichiarazione di guerra. E’ stato un vero e proprio atto di guerra." Fin dall’inizio Stephens favorì una vigorosa prosecuzione di tutte le misure diplomatiche, ed un’attiva preparazione militare della Confederazione. Egli e Davis furono in felice accordo circa lo scopo generale della Confederazione così crudamente espresso dal Presidente confederate alla ripresa dei lavori del Congresso nell’aprile 1861, "Noi non cerchiamo conquiste, né ingrandimenti, né concessioni dagli Stati liberi. Tutto quello che chiediamo è di essere lasciati soli, che nessuno tenti di soggiogarci con le armi. Questo noi vogliamo e dobbiamo resistere fino al più tremendo estremo. Nel momento in cui questa pretesa verrà abbandonata la spada cadrà dalle nostre mani, e dovremo essere pronti a trattati di amicizia e commercio reciprocamente benefici."

[modifica] Durante la guerra

Con il progredire della Guerra il Vice Presidente fu spesso chiamato a rivolgere indirizzi al popolo nei momenti critici, in ognuno dei quail egli caratterizzava l’invasione del Sud come una guerra ingiusta di conquista e sottomissione, "la cui responsabilità per tutti i sacrifici di sangue e denaro sono dell’amministrazione di Washington." Dichiarando francamente che l’istituzione della schiavitù aveva le sue origini nella cupidigia europea ed americana, e non era un male assoluto, egli giustificava la protezione data dalla Confederazione a quella sorta di proprietà contro l’assalto di una maggioranza, ma non dichiarò mai che essa fosse la "pietra angolare" della nuova Repubblica, come spesso si cita contro di lui. Egli sosteneva che la schiavitù, in quanto istituzione interna sotto il controllo degli Stati, veniva attaccata da coloro che cercavano di stabilire la regola che il governo federale aveva il potere di regolare tutte le istituzioni interne di tutti gli Stati. I suoi punti di vista riguardanti le relazioni fra I governi federale e degli Stati erano pressoché allineate con quelle di Jefferson, ed egli si fece carico di questi punti di vista nella sua costruzione della costituzione confederata. Credendo che la libertà dipenda più dal diritto che non dalle armi, essendo egli per natura un civile e per formazione un giurista, egli non poteva essere d’accordo su tutte le misure di guerra adottate a Richmond. L’amministrazione Lincoln era da lui accusata con gran severità a causa della totale mancanza di considerazione di tutte le limitazioni costituzionali. Altrettanto obiettava ad ogni violazione della costituzione da parte del suo proprio governo. La sua opposizione alla politica finanziaria, alla coscrizione, alla sospensione dello habeas corpus e ad altre misure di Guerra fu molto decisa e si verificarono divergenze fra il Vice Presidente e l’amministrazione confederata; ma il suo rapporto con il Presidente Davis ed il Gabinetto rimase cordiale fino alla fine della guerra. Egli dice che "queste differenze, per quanto ampie e profonde, non causarono fratture personali fra di noi", affermazione confermata da Davis. E’ giusto ricordare che Stephens fu il difensore del Presidente Davis contro tutti gli attacchi maliziosi finché ebbe vita. Le crudeli e brutali accuse contro Davis riguardanti il trattamento dei prigionieri furono prontamente da lui condannati come uno dei più audaci e più spogli oltraggi contro la verità della storia che siano mai stati tentati; non inferiore all’infame tentativo di addebitare a lui e ad altri alti Ufficiali dalla parte della Confederazione la colpa dell’assassinio di Lincoln. Stephens con assoluta certezza considerava l’idea fin dai primissimi giorni della secessione che un proceso di disintegrazione della vecchia Unione potesse avvenire perseguendo una politica corretta, e che alla fine "una riorganizzazione dei suoi elementi costitutivi e una nuova assimilazione sulla base di una nuova Costituzione" avrebbe dato luogo ad una unione più perfetta del tutto. Questi punti di vista incontrarono poco favore. La loro realizzazione era troppo distante, troppo incerta, troppo impraticabile per adattarsi al suo tempo.

Egli voleva sempre fare pace e ricostituire l’Unione sulla base della Costituzione adottata a Montgomery, o semplicemente sul sincero riconoscimento dell’assoluta sovranità degli Stati. Ma nulla di ciò era ammissibile come base di riunificazione. Quando ebbe inizio la guerra e le risorse confederate calarono fino al punto di esaurimento Stephens cominciò con una certa veemenza a far pressione sull’amministrazione di Richmond perché fossero accettati i suoi punti di vista come misure idonee a far terminare la carneficina della guerra. Gli ultimi anni di conflitto furono principalmente segnati da disastri che il popolo del Sud stava sopportando con cuore tenace, compensate ogni tanto da vittorie sul campo e voci di tentativi di una parte pacifica del Nord di sospendere le ostilità. Stephens era tra i principali sostenitori del movimento per la pace, ma senza la minima manifestazione di tradire la Confederazione. Si era pensato che se egli e Lincoln, due vecchi ed affezionati amici che avevano grande rispetto reciproco, potessero incontrarsi e parlare confidenzialmente, si sarebbe trovata una base per la pace. La situazione politica al Nord nell’estate del 1863 sembrava favorire un tentativo di avvicinare il governo degli Stati Uniti sull’argomento e di raggiungere un accordo per riprendere gli scambi di prigionieri di guerra. In questa circostanza Stephens propose di recarsi di persona a Washington per avere un abboccamento preliminare con Lincoln "che possa finalmente condurre a buoni risultati." Ma mentre questa proposta era in discussione le Armate confederate attraversarono il Potomac minacciando Washington e producendo nel gabinetto di Lincoln sentimenti che a Stephens sembrarono essere sfavorevoli a qualsiasi negoziato. Egli era però incaricato da Davis di fare ogni sforzo per garantire lo scambio di prigionieri, e lo fece con il risultato di un immediato rifiuto da parte delle autorità federali di ricevere qualsiasi commissario al riguardo.

Stephens nel 1864 pensava che la reazione contro la politica di Guerra di Lincoln fosse causata dalla paura che il cosiddetto potere di Guerra diventasse pericoloso per le libertà degli Stati del Nord, ed egli era dell’opinione che un adeguato incoraggiamento al popolo della pace nel Nord avrebbe portato al loro successo politico nelle elezioni di quell’anno, portando così al potere a Washington un gruppo di uomini che avrebbero trattato con il Sud. "Era la nostra vera politica" scrive, "lottando per la nostra indipendenza, di utilizzare ogni possibile mezzo per imprimere nelle menti dei veri amici della libertà al Nord la verità che se noi fossimo stati sopraffatti e gettati sotto il tallone del centralismo, lo stesso destino aspettava loro prima o poi." Su questa linea simpatizzava per la risoluzione approvata nel marzo 1864 dal parlamento della Georgia, evidentemente preparato per consolidare l’opposizione al Nord all’amministrazione Lincoln. Ma la schiacciante rielezione di Lincoln dissipò ogni speranza di accomodamento.

[modifica] Gli sforzi per la pace

Lo sforzo finale per una negoziazione fu fatto da Stephens e dai suoi Commissari associati, John A. Campbell e Robert M. T. Hunter, incaricati da Davis, che incontrarono Lincoln e Seward ad Hampton Roads il 3 febbraio 1865, in una informale quanto futile conferenza. Stephens era il capo portavoce in quella famosa intervista, e ha dato il suo resoconto complete di tutto l’accaduto. Egli fece pressione su Lincoln e Seward perché acconsentissero ad un armistizio con l’intenzione di organizzare una richiesta da parte degli Stati Uniti verso l’imperatore francese Massimiliano di liberare il Messico dal controllo europeo in sintonia con la popolare "dottrina Monroe". Questo diversivo, credeva, avrebbe aperto la strada alla ricostituzione dell’Unione. Seward replicò che il suggerimento era solo una "teoria filosofica" e Lincoln disse che lo scioglimento di tutte le armate e la restaurazione dell’autorità federale ovunque era l’assoluto preliminare a qualsiasi cessazione delle ostilità. Fallito questo sforzo per assicurare un armistizio, Stephens e gli altri Commissari richiesero una dichiarazione delle condizioni sotto le quali la guerra potesse finire. Gli Stati secessionisti sarebbero stati subito parificati agli altri Stati secondo la Costituzione, come erano prima? Cosa si sarebbe fatto delle proprietà di schiavi? Quale sarebbe stato il comportamento degli Stati Uniti verso gli attori della secessione? Alle questioni di questa natura, ma non con le stesse parole, fu risposto dicendo che ogni resistenza armata doveva cessare e ci si doveva fidare che il governo avrebbe fatto quello che riteneva migliore. Non ci sono prove che Lincoln scrivesse la parola "Unione" su un pezzo di carta e dicesse che Stephens poteva scrivere sotto ciò che voleva, e non è probabile che qualcosa di così stupido, impotente e imprudente sia stato fatto dal sagace Presidente degli Stati Uniti. Non ci fu promessa di pagamento per la proprietà degli schiavi, ma solo un suggerimento di Lincoln che egli avrebbe favorito ciò, sebbene il suo punto di vista a riguardo fosse ben noto. Così la conferenza fallì senza alcun risultato benefico.

[modifica] Il ritorno alla Georgia

Ritornando dalla conferenza di Hampton Roads Stephens considerò che la causa del Sud fosse senza speranze, e trovando l’amministrazione risoluta a difendere Richmond fino all’ultimo, lasciò Richmond per tornare a casa sua il 9 febbraio, senza alcuna malevolenza verso Davis o alcun proposito di opporsi alla politica adottata dal Gabinetto, e rimase in ritiro fino al suo arresto l’11 maggio. Fu confinato come prigioniero per cinque mesi a Fort Warren, ed egli sopportò con fortezza e senza recedere dale sue convinzioni. Il suo rilascio sulla parola avvenne nell’ottobre 1865, e nel febbraio successivo il parlamento della Georgia lo elesse senatore degli Stati Uniti, ma il Congresso ora stava trattando la Georgia come uno Stato fuori dall’Unione, in sovversione del proclama Presidenziale di restaurazione e perciò gli fu rifiutato il seggio. Più tardi, quando l’era della ricostruzione fu felicemente terminata, fu eletto Rappresentante al Congresso, dove egli ebbe il suo seggio e servì con impareggiabile abilità. Nell’anno 1882 fu eletto Governatore della Georgia, e durante il suo mandato si ammalò e morì a Savannah. Gli furono tributati straordinari onori funebri nella capitale ed in tutto lo Stato, e la sua memoria è caldamente onorata come quella di uno dei più grandi uomini del suo tempo.

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