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Aldo Moro

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Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916 - Roma, 9 maggio 1978) è stato un importante statista italiano, uomo politico e presidente del partito della Democrazia Cristiana.

Venne rapito il 16 marzo 1978 ed ucciso il 9 maggio successivo da esponenti del gruppo terrorista delle Brigate Rosse.

Aldo Moro.
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Aldo Moro.

Indice

[modifica] Biografia

Moro è stato considerato un mediatore intelligente ed incredibilmente paziente, fine, particolarmente abile nella gestione e nel coordinamento politico delle cosiddette "correnti" all'interno del suo partito. Fu un convinto assertore della necessità di un centrosinistra, da raggiungersi in forma di coalizione politica.

[modifica] La carriera

Conseguita la Maturità Classica al Liceo "Archita" di Taranto, si iscrisse presso l'Università degli studi di Bari alla Facoltà di Giurisprudenza, dove conseguì la laurea con una tesi su "La capacità giuridica penale".

Militò, assieme a Giulio Andreotti, alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana, di cui fu presidente nazionale tra il 1939 e il 1942. Dopo qualche anno di carriera accademica, fondò nel 1943 a Bari, con alcuni amici, il periodico La Rassegna che uscì fino al 1945, anno in cui sposò Eleonora Chiavarelli, con la quale ebbe quattro figli.

Nel 1945 diventò inoltre presidente del Movimento Laureati dell'Azione Cattolica e direttore della rivista Studium.

Tra il 1943 ed il 1945 aveva iniziato ad interessarsi di politica ed in un primo tempo mostrò particolare attenzione alla componente della "destra" socialista, successivamente però il suo forte credo cattolico lo spinse verso il costituendo movimento democristiano. Nella DC fin da subito mostrò la sua tendenza democratico-sociale, aderendo alla componente dossettiana (in pratica la "sinistra DC").

Nel 1946 fu vicepresidente della Democrazia Cristiana e fu eletto all'Assemblea Costituente, ove entrò a far parte della Commissione che si occupò di redigere il testo costituzionale. Eletto deputato al parlamento nelle elezioni del 1948, fu nominato sottosegretario agli esteri nel gabinetto De Gasperi.

Divenne professore ordinario di diritto penale presso l'Università di Bari e nel 1953 fu rieletto alla Camera, ove fu presidente del gruppo parlamentare democristiano. Nel 1955 fu ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni e l'anno dopo risultò tra i primi eletti nel consiglio nazionale del partito durante il VI congresso nazionale del partito.

Ministro della Pubblica Istruzione nei due anni successivi (governi Zoli e Fanfani), introdusse lo studio dell'educazione civica nelle scuole. Nel 1959 ebbe affidata la segreteria del partito durante il VII congresso nazionale. Nel 1963 ottenne il trasferimento all'Università di Roma, in qualità di titolare della cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura penale presso la Facoltà di Scienze Politiche.

Fino al 1968 ricoprì la carica di Presidente del Consiglio alla guida di ministeri di coalizione con il Partito Socialista Italiano, insieme agli alleati tradizionali della DC: i socialdemocratici ed i repubblicani.

Dal 1970 al 1974, assunse l'incarico di ministro degli Esteri, per divenire nuovamente presidente del consiglio fino al 1976. Nel 1975 il Governo Moro-Rumor conclude il Trattato di Osimo, con cui fu ceduta definitivamente alla Yugoslavia la Zona B dell'Istria.

Nel 1976 fu eletto Presidente del consiglio nazionale del partito.

[modifica] Il "Compromesso storico"

Durante gli anni settanta fu uno dei leader politici che maggiormente prestarono attenzione al progetto del cosiddetto Compromesso storico di Enrico Berlinguer. Il leader del Partito Comunista Italiano aveva infatti proposto una innovativa solidarietà politica fra i Comunisti, Socialisti e Cattolici, in un momento di profonda crisi economica, sociale e politica in Italia.

Moro, allora presidente della Democrazia Cristiana fu l'esponente politico più importante e prestigioso fra coloro che erano riusciti ad individuare una strada percorribile per un governo di "solidarietà nazionale".

[modifica] Il Caso Moro

A Roma, alle 9.15 del 16 marzo 1978, il giorno in cui il governo appena nominato a guida di Giulio Andreotti sarebbe dovuto andare davanti al Parlamento per ottenere la "fiducia" (approvazione parlamentare), l'auto che trasportava Moro dalla sua casa alla Camera dei Deputati fu intercettata in via Mario Fani da un "gruppo di fuoco" (commando) delle Brigate Rosse, organizzazione terroristica di sinistra, che dopo un breve ma feroce conflitto a fuoco massacrò i due carabinieri a bordo dell’auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti dell'auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrò il presidente della Democrazia Cristiana. Moro viene caricato a forza su una Fiat 132 blu.

Il rapimento fu rivendicato con il primo dei nove comunicati che le Brigate Rosse inviarono durante i 55 giorni del sequestro.

Il 9 maggio dello stesso anno, dopo 55 giorni di detenzione, al termine di un presunto processo del popolo, sarebbe stato assassinato per mano di Mario Moretti. Il cadavere di Moro è ritrovato il 9 maggio in una Renault 4 rossa in Via Caetani, in pieno centro di Roma.

Si è sostenuto che non tutto il vertice brigatista fosse concorde con il verdetto di condanna a morte. La brigatista Adriana Faranda citò una riunione notturna tenutasi a Milano e di poco precedente l'uccisione di Moro, ove ella ed altri terroristi (Prospero Gallinari e - forse - Franco Bonisoli) dissentirono, tanto che la decisione finale sarebbe stata messa ai voti.


[modifica] Brigate Rosse

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«Chi è aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il "teorico" e lo "stratega" indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano [...] la controrivoluzione imperialista [...] ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste.»
(Brigate Rosse, Primo Comunicato)

Si è detto che Moro fu rapito perché in lui le Brigate Rosse volevano colpire l'artefice della solidarietà nazionale e dell'avvicinamento tra DC e PCI. L'ottica delle BR, in realtà, era un po' diversa: il rapimento non fu realizzato per colpire il regista di quella fase politica. Il loro scopo era più generale e rientrava nella loro particolare analisi di quella fase storica: colpire la DC (regime democristiano), cardine in Italia dello Stato imperialista delle multinazionali (SIM), mentre il PCI rappresentava non tanto il nemico da attaccare quanto un concorrente da battere. Nell'ottica brigatista, infatti, il successo della loro azione avrebbe interrotto la "lunga marcia comunista verso le istituzioni", per affermare la prospettiva dello scontro rivoluzionario e porre le basi del controllo BR della sinistra italiana.

Alle BR, dunque, interessava Moro in quanto figura emblematica di trent'anni di regime democristiano. Secondo quanto ha dichiarato successivamente Mario Moretti, per le BR era rilevante che Moro fosse presidente della DC e che fosse da quarantanni al governo.

[modifica] Lettere dalla prigionia

Durante il periodo della sua detenzione, Moro scrisse 86 lettere ai principali esponenti della Democrazia Cristiana, alla famiglia ed all'allora Papa Paolo VI (che avrebbe poi celebrato personalmente la solenne messa funebre nella basilica di San Giovanni in Laterano). Alcune arrivarono a destinazione, altre non furono mai recapitate e vennero ritrovate in seguito nel covo di via Montenevoso. Attraverso le lettere Moro cerca di aprire una trattativa con i colleghi di partito e con le massime cariche dello Stato.

È stato ipotizzato che in queste lettere Moro abbia inviato messaggi criptici alla sua famiglia ed ai suoi colleghi di partito. Non immaginando che i brigatisti la renderanno pubblica, in una lettera inspiegabilmente domanda: Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca?

Nella lettera recapitata l'8 aprile scaglia un vero e proprio anatema: “Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse? Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro.”.

Dubbi sono stati avanzati circa la completa pubblicazione di queste lettere; il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa (successivamente ucciso dalla mafia) trovò copie di alcune lettere ancora non note in una casa che i terroristi utilizzavano a Milano (il c.d. covo di via Montenevoso) e, per qualche altrettanto ignoto motivo, questo recupero non fu conosciuto fino a molti anni dopo.

[modifica] I comunicati e la trattativa

Durante i 55 giorni del sequestro Moro le Brigate rosse recapitano nove comunicati con i quali, assieme alla Risoluzione della Direzione Strategica (cioè il massimo organo della formazione armata) spiegano i motivi del sequestro. Sono documenti lunghi, a volte quasi illeggibili. Nel comunicato numero 3 si legge: L'interrogatorio, sui contenuti del quale abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando; delineano con chiarezza i contorni e il corpo del "nuovo" regime che, nella ristrutturazione dello Stato Imperialista delle Multinazionali si sta instaurando nel nostro paese e che ha come perno la Democrazia Cristiana. E ancora: Moro è anche consapevole di non essere il solo, di essere, appunto, il più alto esponente del regime; chiama quindi gli altri gerarchi a dividere con lui le responsabilità, e rivolge agli stessi un appello che suona come un'esplicita chiamata di "correità".

Le Brigate Rosse proposero di scambiare la vita di Moro con la libertà di alcuni terroristi imprigionati ("Fronte delle carceri"). Accettarono persino di scambiare Moro con un solo brigatista incarcerato, anche se non di spicco, pur di poter trattare alla pari con lo Stato.

Intanto un riconoscimento lo ebbero da papa Paolo VI, che (amico personale di Moro) rivolse un drammatico appello pubblico col quale supplicava "in ginocchio" gli "uomini delle Brigate Rosse" di rendere Moro alla sua famiglia ed ai suoi affetti.

La politica si divise in due fazioni: il c.d. "fronte della fermezza", che rifiutava qualunque ipotesi di trattativa, ed il c.d. "fronte possibilista" (che comprendeva anche Bettino Craxi), per il quale un eventuale avvicinamento analitico all'ipotesi di trattativa non avrebbe svilito la dignità dello Stato.

Prevalse il primo, anche in considerazione del gravissimo rischio di ordine pubblico e di coesione sociale che si sarebbe corso presso la popolazione, e in particolare, presso le forze dell'ordine, che in quegli anni avevano pagato un tributo di sangue già insostenibile a causa dei terroristi.

L'epilogo anticipò comunque una presa di posizione definitiva dei governanti.

Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse
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Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse

Durante la detenzione, si è detto poi, pare probabile che molti sapessero dove Moro fosse imprigionato (si parlò dell'appartamento di Roma in via Gradoli usato da Mario Moretti e Barbara Balzerani).

Perfino Romano Prodi, Mario Baldassarri e Alberto Clò ebbero un ruolo mai del tutto chiarito nel reperimento delle indicazioni su un possibile luogo di detenzione e resta tuttora alquanto oscura la vicenda della loro presunta seduta spiritica con il famoso "piattino" effettuata il 2 aprile 1978, da cui sarebbero scaturite prima alcune parole senza senso, poi le parole Viterbo, Bolsena e Gradoli, quest'ultima ("Gradoli") coincideva con il nome della strada in cui si trovava la prigione dello statista, ma che fu equivocato con l'omonima città sul Lago di Bolsena.

Ecco le parole di Prodi, dai verbali della testimonianza davanti alla Commissione Moro il 10 giugno 1981:

«Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito.».

La questione sulla seduta spiritica venne riaperta nel 1998 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, l'allora presidente del consiglio Prodi, dati gli impegni politici di poco precedenti alla caduta del suo governo nell'ottobre 1998, si disse indisponibile per ripetere l'audizione, si dissero disponibili Mario Baldassarri (ora esponente di AN, ex viceministro per l'Economia e le Finanze dei governi Berlusconi II e Berlusconi III, al tempo del rapimento di Moro docente presso l'Università di Bologna, vedasi audizione relativa) ed Alberto Clò (economista ed esperto di politiche energetiche, ministro dell'Industria nel governo Dini e proprietario della casa di campagna dove avvenne la seduta spiritica, al tempo del rapimento di Moro assistente e poi docente di economia all'Università di Modena, vedasi audizione relativa), anche loro presenti alla seduta spiritica: entrambi, pur ammetendo di non credere allo spiritismo e di non aver più effettuato sedute spiritiche dopo quella, confermarono la genuinità del risultato della seduta (alla critica sul fatto che qualcuno avebbe potuto guidare il piattino Clò sostenne che la parola "Gradoli", così come "Bolsena" e "Viterbo", si erano formate più volte e con partecipanti diversi) e dichiararono che né loro, né, per quanto ne sapevano, nessuno dei presenti (partecipanti al gioco del piattino o meno, oltre a loro tre erano presenti il fratello di Clò, le relative fidanzate, e i figli piccoli dei commensali) aveva conoscenze nell'ambiente dell'Autonomia bolognese o negli ambienti vicini alle BR.

Pare che in alcune fasi della detenzione, Moro sia stato anche nella prigione del popolo di via Montalcini.

[modifica] L'uccisione

Dal comunicato numero 9: Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato.

Il corpo di Moro fu ritrovato il 9 maggio nel cofano di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, emblematicamente a metà strada e a poca distanza da Piazza del Gesù (dov'era la sede nazionale della Democrazia Cristiana) e via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano), come un'ultima simbolica sfida alle forze di polizia ed alle istituzioni, che mantenevano tutta la nazione, e Roma in particolare, sotto una sorveglianza rigorosa e severa.

Per segnare il decennale della morte di Moro, nell'aprile del 1988, quando già sembrava ormai sconfitto il partito armato, le Brigate Rosse colpirono ancora, uccidendo, nella sua casa di Forlì il senatore democristiano Roberto Ruffilli, consigliere di Ciriaco De Mita sul tema delle riforme istituzionali.

[modifica] Le ipotesi, le indagini e i processi

La strage, il sequestro, la detenzione, i coinvolgimenti e le manovre intorno alle cause ed ai metodi della sua eliminazione, ancora non sono chiaramente identificabili in tutti i loro dettagli, malgrado parecchi processi e numerose indagini separate, condotte sia all'interno del paese che a livello internazionale.

Anche, ad esempio, le indagini esperite per verificare eventuali contatti e collegamenti con l'omologa organizzazione tedesca RAF (Rote Armee Fraktion), che non molto tempo prima aveva realizzato un'azione analoga e dalle inquietanti similitudini (sequestro dell'industriale tedesco Schleyer e massacro della sua scorta), non ebbero seguito, e nemmeno si sa se furono concluse, in un senso o nell'altro.

La morte di Moro è stata oggetto di diverse speculazioni e teorie.

La stampa ad esempio ipotizzò, a sèguito delle interviste ad alcuni brigatisti catturati, che le BR avessero puntato su Moro ritenendo che l'obiettivo suppostamente prescelto dai terroristi (Andreotti) risultasse troppo protetto. Lo stesso Andreotti però smentì la fondatezza dell'assunto, pubblicamente raccontando che ogni mattina abitudinariamente si recava di buon'ora, a piedi e del tutto solo, a messa in una chiesa vicina alla sua abitazione; come obiettivo, affermò, era anche eccessivamente facile.

[modifica] P2, CIA, altri sospetti

Qualcuno ha ipotizzato che nell'omicidio di Moro possa essere stata in qualche modo implicata la loggia massonica coperta P2 di Licio Gelli, o anche che le Brigate Rosse possano essere state infiltrate dall'intelligence degli Stati Uniti (CIA) o dall'Organizzazione Gladio, la rete clandestina della NATO destinata a contrastare l'influenza sovietica nei paesi dell'Europa Occidentale. Secondo queste teorie, Mario Moretti sarebbe stato “eterodiretto” durante il sequestro.

Carmine Pecorelli, sulla sua rivista Osservatorio politico (Op) pubblicò un articolo intitolato “Vergogna, buffoni!”, sostenendo che il generale Dalla Chiesa fosse andato da Andreotti dicendogli di conoscere la prigione di Moro, non ottenendo il via libera per il blitz a causa della contrarietà di una certa “loggia di Cristo in paradiso”. L'allusione alla P2, i cui affiliati controllavano i punti chiave dello Stato, fu chiara soltanto in seguito. Il 20 marzo 1979 Pecorelli viene ucciso a colpi d’arma da fuoco. Nel 1992 il pentito di mafia Tommaso Buscetta rivela che l'uccisione fu eseguita dalla mafia per “fare un favore ad Andreotti”, preoccupato per certe informazioni sul Caso Moro di cui Pecorelli sarebbe stato a conoscenza. Nel processo a suo carico, Andreotti in primo grado ebbe l'assoluzione, mentre la Corte d'Assise d'Appello di Perugia il 17 novembre 2002 lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Andreotti ha presentato ricorso in Cassazione, che lo ha assolto, pur confermando alcuni collegamenti con la mafia precedenti alla primavera del 1980 ormai prescritti.

L'ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana Giovanni Galloni il 5 luglio 2005, in un intervista nella trasmissione NEXT di Rainews24, disse che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle Br, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che sarebbero potute essere d'aiuto nell'individuare i covi dei brigatisti. Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA: "Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il giorno prima... L'assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare". Lo stesso Galloni aveva gia' effettuato dichiarazioni simili durante un'audizione alla Comissione Stragi il 22 luglio 1998 [1], in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli USA del 1976 gli era stato fatto presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell'Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro ("Quindi, l'entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, "life or death" come dissero, per gli Stati Uniti d'America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel, che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere.").

Un ulteriore mistero riguarda la presenza della 'ndrangheta calabrese in via Fani. E’ quanto emergerebbe da una telefonata intercettata tra il segretario di Moro Sereno Freato e Benito Cazora, deputato della Dc incaricato di tenere i rapporti con la malavita calabrese, nella quale Freato cerca di avere notizie sulla prigione di Moro.

Misteri anche sulla conclusione della tragedia: secondo le Br Moro venne ucciso a Via Montalcini e poi trasportato in via Caetani. Ma l’autopsia rivela che l'esecuzione di Moro avvenne a non più di 50 metri da dove fu ritrovato e che sopravvisse ai colpi d'arma da fuoco per quasi 15 minuti. I giornalisti Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca nel loro libro “Il misterioso intermediario” sostengono che Moro era vicino alla liberazione, salvato da una mediazione della Santa Sede. Condotto in un palazzo del ghetto ebraico, stava per essere trasportato in Vaticano su un’auto con targa diplomatica, ma all’ultimo momento qualcuno all’interno delle Br non avrebbe mantenuto gli impegni, ed avrebbe ucciso lo statista. Dà spazio a congetture l'ambiguo commento di Francesco Cossiga che definì il libro “bellissimo”.

Molte di queste teorie si basano sull'ipotesi che il lavoro duro che Moro aveva prodotto per ammettere i membri del Partito Comunista Italiano in un governo di coalizione, stava profondamente disturbando quegli interessi (la c.d. Pax Americana); questo, secondo alcuni osservatori, avrebbe considerato che quanto accaduto a Moro poteva risultare vantaggioso per gli Stati Uniti.

Si disse anche che Moro tenesse i contatti tra Enrico Berlinguer, segretario del PCI e Giorgio Almirante, segretario dell' MSI, i partiti di sinistra e di destra cui si ispiravano i contrapposti schieramenti terroristi delle BR e dei NAR. Lo scopo sarebbe stato quello - secondi questa ipotesi - di "raffreddare la tensione delle rispettive frange estremiste", l'esatto opposto di quanto volevano gli strateghi della tensione. Di certo, tra Berlinguer ed Almirante ci furono contatti personali e stima (come dimostrato dalla presenza di Almirante ai funerali di Berlinguer nel 1984, presenza ricambiata da Alessandro Natta ai funerali di Almirante nel 1988).

[modifica] KGB, falso comunismo e falsi comunicati

Alcuni ritengono che le Brigate Rosse siano state efficacemente strumentalizzate da alcuni poteri nascosti (secondo alcuni le loro azioni dimostrerebbero che effettivamente non hanno realmente combattuto per la pretesa causa comunista), ma nessuna prova concreta di questa ipotesi è stata mai trovata.

Altri invece affermano che almeno alcune azioni terroristiche delle Brigate Rosse erano state richieste dal KGB, il servizio segreto russo. Tra questi il senatore Paolo Guzzanti, giunto a questa conclusione dopo aver presieduto per 2 anni la Commissione parlamentare d'inchiesta sul dossier Mitrokhin (si veda l'articolo "Sì, le BR erano manovrate dal KGB" su Panorama del 20 dicembre 2005). Nel novembre 1977 Sergej Sokolov, studente presso l’Università La Sapienza di Roma, avvicina Moro per chiedergli di frequentare le sue lezioni. Nelle settimane successive, si fa notare per le domande sempre più indiscrete che fa agli assistenti circa l’auto e la scorta, tanto da suscitare anche qualche sospetto in Moro che raccomandò al suo assitente di rispondere vagamente ad eventuali domande dello studente. Nel 1999, in seguito allo scoppio dello scandalo Mitrokhin, si sospettera' che Sergej Sokolov sia in realtà Sergey Fedorovich Sokolov, ufficiale del Kgb con come copertura un lavoro come corrispondente della TASS (report Impedian 83), che doveva operare a Roma dal 1981 al 1985, ma era stato richiamato in patria nel 1982. Sergej Sokolov incontra l’ultima volta Moro la mattina del 15 marzo. Da allora nessuno lo incontra più. Nel maggio 1979 i brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda, due degli ideatori del sequestro, vengono arrestati a Roma nell’appartamento di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, con il rinvenimento nell'abitazione della mitraglietta skorpion usata per assassinare Moro. Nel Dossier (report Impedian 142) si parla di Giorgio Conforto come agente del KGB, nome in codice “Dario”, capo rete dei servizi strategici del Patto di Varsavia, ma si dice anche che sia lui che la figlia erano estranei alle attività dei due terroristi e che, proprio in seguito alle indagini di cui sarebbe stato probabilmente oggetto dopo l'arresto dei brigatisti, si decise di "congelare" la sua attività di spia.

Altro fatto di nebuloso sviluppo fu il falso comunicato n. 7 delle BR in cui si annunciava la morte dello statista e la sua sepoltura presso il Lago della Duchessa, nel reatino. In esso sarebbe stato coinvolto un falsario romano Antonio Chichiarelli, legato alla Banda della Magliana, ucciso qualche anno dopo in circostanze misteriose.

Pare, infine, che nelle tasche della giacca dello statista ucciso siano stati ritrovati gettoni telefonici, il che risulterebbe incomprensibile, visto che tali gettoni venivano di norma dati dai brigatisti ai rapiti che decidevano di liberare (perché potessero telefonare e farsi riportare a casa) e questo secondo alcuni fa supporre che la decisione di ucciderlo sia stata presa solo da alcuni dei suoi rapitori che poi la misero in atto. Altri scenari, addirittura esoterici, sono evocati nel libro di Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca Il misterioso intermediario che chiama in causa il direttore d'orchestra Igor Markevic come oscura figura di raccordo sul caso Moro.

[modifica] Le analisi

L"affaire" Moro segnò profondamente la storia italiana del dopoguerra, e alcuni politologi si spingono ad affermare che la cosiddetta Prima Repubblica sia morta il 9 maggio di quel tragico 1978, e non qualche anno più tardi con Tangentopoli.

Di certo, conclusasi la vicenda umana e ristabilita una certa ordinarietà della vita politica, di lì a poco naufragò definitivamente l'ipotesi del compromesso storico e dei "governi di solidarietà nazionale", con ciò dissolvendosi l'antico anelito del PCI di pervenire al governo centrale.

Nel giugno 1976, la DC è al 38 per cento, seguita a breve distanza dal PCI di Berlinguer al 34,4. Moro è il probabile candidato alla presidenza della Repubblica da dove sembra chiaro favorirà l’alleanza tra PCI e DC. Con il suo assassinio, si chiude definitivamente la stagione del compromesso storico. Il 16 marzo il governo Andreotti ottiene la fiducia: votano contro soltanto liberali, missini, radicali e demoproletari. L'esecutivo è un monocolore DC che si regge grazie all’astensione dei comunisti (il cosiddetto governo della “non sfiducia”). Le elezioni anticipate del giugno 1979 vedranno una tenuta della DC e un sensibile calo del PCI.

La figura di Moro fu in seguito appannata dalle risultanze di alcune indagini circa malversazioni riguardanti importanti società petrolifere. Uno dei principali collaboratori di Moro, Sereno Freato, fu pesantemente coinvolto in ciò che sarebbe stato poi chiamato lo "scandalo dei petroli", che portò addirittura all'arresto dell'allora comandante generale della Guardia di Finanza (in armi), ed in contestazioni minori circa appalti di ditte di trasporti e costruttori pugliesi.

[modifica] Opere su Aldo Moro

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

  • Giovanni Acquaviva, Un italiano diverso: Aldo Moro, 1968
  • Gianni Baget Bozzo e Giovanni Tassani, Aldo Moro : il politico nella crisi, 1983
  • Francesco Biscione, Il delitto Moro: strategie di un assassinio politico, 1998
  • Carlo Bo, Aldo Moro. Delitto d'abbandono, 1988
  • Giorgio Bocca e Silvia Giacomoni, Moro: una tragedia italiana, 1978
  • Anna Maria Braghetti e Paola Tavella, Il prigioniero, 1998
  • Marco Clementi, La 'pazzia' di Aldo Moro, 2001
  • Eugenio Cutolo, Aldo Moro: La vita, l'opera, l'eredità, 1980
  • Augusto D'Angelo, Moro - I vescovi e l'apertura a sinistra, 2005
  • Giuseppe De Lutis, Perché Aldo Moro, 1988
  • Giovanni Di Capua, Aldo Moro: il potere della parola (1943-1978), 1988
  • Sergio Flamigni, La tela del ragno. Il delitto Moro, 1988
  • Antonio Ghirelli e Franco Angeli, Moro tra Nenni e Craxi. Cronaca di un dialogo tra il 1959 e il 1978, 1991
  • Agostino Giovagnoli, Il caso Moro - Una tragedia repubblicana, Il Mulino, 2005
  • Mario Moretti, Rossana Rossanda, Carla Mosca Brigate Rosse. Una stora italiana, 2002
  • Aldo Moro, La democrazia cristiana per il governo del paese e lo sviluppo democratico nella società italiana, 1962
  • Carlo Alfredo Moro, Storia di un delitto annunciato, 1998
  • Maria Fida Moro, La nebulosa del caso Moro, 2004
  • Roberto Pantanelli, Ammazzate Moro, 1987
  • Vladimiro Satta, Odissea nel caso Moro, 2003
  • Leonardo Sciascia, L'affaire Moro, 1994
  • Vittorio Vettori, Diario apocrifo di Aldo Moro prigioniero, 1982
  • Giovanni Fasanella, Giuseppe Rocca Il misterioso intermediario - Igor Markevic e il caso Moro, 2003

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni


Predecessore: Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana Successore: Bandiera italiana
Giuseppe Saragat 1964 - 1965 ad interim Amintore Fanfani I
Amintore Fanfani 1965 - 1966 ad interim Amintore Fanfani II
Pietro Nenni 1968 - 1972 Giuseppe Medici III
Giuseppe Medici 1973 - 1974 Mariano Rumor IV
Predecessore: Presidente del Consiglio dei Ministri Italiano Successore: Bandiera italiana
Giovanni Leone dicembre 1963 - giugno 1968 Giovanni Leone I
Mariano Rumor novembre 1974 - luglio 1976 Giulio Andreotti II
Predecessore: Ministro dell'Interno della Repubblica Italiana Successore: Bandiera italiana
Luigi Gui 1976 Francesco Cossiga I
Predecessore: Ministro della Pubblica Istruzione Successore: Bandiera italiana
Paolo Rossi 19 maggio 1957 - 1 luglio 1958 Aldo Moro I
Aldo Moro 1 luglio 1958 - 15 febbraio 1959 Giuseppe Medici II


Presidenti del Consiglio dei Ministri
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