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Palazzo dei Normanni

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Parte normanna
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Parte normanna
Cappella Palatina, interno
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Cappella Palatina, interno
Porta-Nuova
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Porta-Nuova

Il Palazzo dei Normanni a Palermo è la sede del Parlamento siciliano.

G. Di Stefano lo ritiene una costruzione sorta su una fortezza araba, ristruttura e ampliata da Ruggero II che fece costruire la Cappella Palatina e aggiungere dei corpi turriformi la cui altezza venne ridotta nel XVI s. Identifica le parti normanne con la Torre Pisana (con la stanza del Tesoro) e con la Torre della Gioaria (con la sala degli Armigeri al piano inferiore, e con la sala di re Ruggero e la restrostante sala dei Venti al piano superiore).

Al secondo piano del palazzo si trovano la Sala d'Ercole, dove si riunisce il Parlamento siciliano, e la Sala di re Ruggero II, ricca di preziosi mosaici con motivi ornamentali, raffiguranti animali ed intrecci floreali.

Due scale laterali portano alla cripta. Questa si articola in un vano a pianta quadrata sottostante al presbiterio, scompartito mediante due colonne di pietra e con un'ampia abside centrale e due piccole laterali.

Il palazzo reale è posto nel luogo più elevato dell’antica città tra le depressioni dei fiumi Kemonia e Papireto. Anche se alla costruzione vengono attribuite origini molto antiche risalenti alle dominazioni puniche, romane e bizantine, è all’epoca araba (IX secolo) che si deve attribuire l’edificazione del maestoso Qasr, "Palazzo" o "Castello", da cui ha preso il nome la via del Cassaro, l’odierno corso Vittorio Emanuele. Tuttavia, furono i Normanni a trasformare questo luogo in un centro polifunzionale, simbolo del potere della monarchia. Scrive Maria Teresa Montesanto in Palermo città d’arte (a cura di Cesare De Seta, Maria Antonietta Spadaro e Sergio Troisi): “Il palazzo era costituito da edifici turriformi collegati da portici e giardini che formavano un complesso unitario comprendente anche opifici tessili (il tiraz) e laboratori di oreficeria. Una via coperta lo collegava direttamente con la cattedrale. Nello spiazzo antistante vi era anche la cosiddetta Aula verde, di epoca anteriore, un ambiente aperto e riccamente decorato dove il re accoglieva i suoi ospiti. Nel 1132 venne costruita la Cappella Palatina che assunse una funzione baricentrica dei vari organismi in cui si articolava il palazzo. La decadenza inizia già con gli Svevi in quanto Federico II non vi risiede anche se il palazzo rimane sede dell’attività amministrativa, della cancelleria e della scuola poetica siciliana. Il ruolo periferico assunto dalla città si accentua con gli Angioini e gli Aragonesi che privilegiarono altre sedi. La rinascita del palazzo si ha con i viceré spagnoli che, nella seconda metà del XVI secolo, scelsero di risiedervi adeguandolo alle nuove esigenze difensive e di rappresentanza”. Dal 1946 il Palazzo dei Normanni e sede dell’Assemblea regionale Siciliana.


[modifica] La Cappella Palatina

La Cappella Palatina, che sorge nel Palazzo dei Normanni, è a schema basilicale a tre navate, divise da archi ad ogive con la particolarità della cupola eretta sul santuario triabsidato. Le navate sono suddivise da colonne di spoglio in granito e marmo cipollino con capitelli compositi.

Originariamente, la cupola visibile era dall’esterno insieme con il campanile, mentre ora la costruzione è inglobata dal Palazzo Reale. Cupola, transetto ed absidi sono interamente rivestiti nella parte superiore da splendidi mosaici bizantini, che sono tra i più importanti della Sicilia. Raffigurano Cristo Pantocratore benedicente, gli evangelisti e scene bibliche varie. I più antichi sono quelli della cupola, che risalgono al 1143.
Il soffitto ligneo della navata mediana e la travatura delle altre sono intagliati e dipinti in stile arabo. Nelle stelle lignee in ogni spicchio ci sono animali, danzatori e scene di vita cortigiana islamica.

La Cappella Palatina fu consacrata nel 1140 e dedicata ai santi Pietro e Paolo da Ruggero II di Sicilia (si dice palatina una chiesa o una cappella riservata ad un regnante e alla sua famiglia. Il termine latino palatinus deriva infatti da palatium, "palazzo imperiale"; nel medioevo l’aggettivo ha preso il significato di “appartenente al palazzo imperiale”). Lo splendido edificio palermitano è interamente rivestito di un tappeto musivo, che è più libero nella concezione dello schema iconografico rispetto ai mosaici della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta anche la Martorana.

Ecco come Augusto Schneegans (in La Sicilia nella natura, nella storia e nella vita, 1890): “Tutto è diverso nel castello reale, dove il custode conduce i visitatori con una specie di timore religioso fino alla porta della Cappella Palatina. Quivi giunto, apre con solennità la cappella avvolta in una oscurità mistica, e poi si ritira silenzioso, come se nessun profano dovesse mettere piede sul sacro suolo. Ed infatti questa cappella meravigliosa pare che sia una cosa sacra. Vi entriamo come in un regno di favole, trasferito qui dall’Oriente: l’oscurità crepuscolare di quei corridoi con alte colonne è inondata dal dolce e carezzevole splendore del sole; le mura scintillano come di oro e splende dalle cupole una luce dorata. I santi e il grande Cristo bizantino guardano meravigliati il forestiero che ardisce mettere il piede in questa soglia consacrata. Con un sordo rumore la porta si chiude dietro di noi; una tranquillità ed un silenzio divini ci circondano; rimaniamo sbalorditi e guardiamo attorno come ammaliati. All’altare maggiore celebra un sacerdote coi capelli argentei e con un rosso e ondeggiante indumento, negli alti stalli seggono altre figure venerabili; grandi volumi di pergamena stanno aperti sui leggii di quercia le cui pagine giallastre sono via via voltate dai cantori. Un raggio di sole colorito, attraverso le dipinte vetrate del soffitto, scherza sopra gli abiti sacerdotali gallonati d’oro e scintilla sui vecchi guarnimenti d’argento dei libri corali. Lento e con modulazione uniforme, risuona il canto dei preti per le gallerie; dalla profondità del coro rispondono le voci argentine dei chierici: si sente il suono fine e chiaro del campanellino tra il ronzio ed il canto: a quel suono le teste canute s’inchinano e le ginocchia si piegano. Sebbene il forestiero non sia entrato come un credente, in questa cappella, pure in mezzo a quell’atmosfera piena di misticismo, china anch’egli il capo e piega le ginocchia come un credente. Solamente, dopo che quel primo sentimento di stupore si è dileguato, guarda attorno e rimane come estatico; perché in nessun altro luogo ha mai veduta cosa più bella. In quel recinto angusto, ma alto, arioso e illuminato dal sole, egli si trova in mezzo all’opera più perfetta che l’arte cristiana abbia mai prodotta. Svelte colonne sostengono sugli ampii capitelli gli archi acuti normanni, alquanto più larghi dei saraceni; più grossi della colonna e del capitello s’innalzano i pilastri e piegandosi leggermente con lento slancio ed elegante, s’uniscono da ambedue le parti nella pietra di chiusura, terminando in punta, ma rotondeggiata artisticamente. Poche colonne sostengono l’alta volta della piccola cappella; perché questa casa di Dio è veramente una miniatura, un prezioso cofanetto di scintillanti gioielli! Dal pavimento fino al soffitto; dalle colonne, dai muri, dagli altari, dai confessionali fin sotto alla gradinata che conduce nel coro, fin negli angoli più remoti dei corridoi laterali avvolti nell’oscurità, tutto ride e risplende di mosaici. I fatti della storia sacra vi sono dipinti in figure vive; sulle colonne stanno gli apostoli e i santi nella loro attitudine ieratica; nelle pareti è rappresentata la storia del vecchio e del nuovo Testamento; cori d’angioli volano intorno all’eccelsa cupola colle finestre traforate, dalla quale scende la chiara e dolce luce del sole, meravigliosamente smorzata e come disciolta in un morbido ondeggiamento. E su in alto, occupando tutta la volta della cupola, sta la colossale la colossale mezza figura del Salvatore in una quiete solenne, colla destra alzata in atto di benedire, col sacro volume nella sinistra, con la chioma lunga e ondulata, con la barba bionda: ha tre grandi raggi attorno al capo e i suoi grandi occhi guardano così intensamente, da sembrare che ne esca una vita celeste che empie ed avviva di una luce misteriosa la semioscurità di quel santuario”.

La Cappella è stata definita un vero miracolo d’armonia spaziale e decorativa, quest’ultima frutto di una felice fusione tra impianto centrale bizantino (presbiterio) e schema basilicale latino (navata). La decorazione a mosaico fu ispirata nei temi da Ruggero II e, in un magico connubio di stili e capacità tecniche, in essa convivono esperienze culturali differenti comprese quelle in purissimo stile islamico, quali il soffitto ligneo a lacunari – elementi realizzati in differenti materiali che ornano i soffitti – e muqarnas, o la serie di vivacissimi dipinti (del quarto decennio del XII secolo), raffiguranti i piaceri della vita di corte e gli svaghi del principe (giocatori di scacchi, danzatrici, dromedari e bevitori) che costituiscono il più vasto ciclo pittorico islamico pervenutoci.

È un universo profano e gioioso che convive, artisticamente parlando, con le immagini sacre e dottrinali del grandioso complesso musivo.

Ugo Falcando, storiografo della corte normanna (1190 circa), dedica alla Cappella Palatina questa nota: “A coloro che entrano nel palazzo da quella parte che guarda si presenta per prima la Regia Cappella col pavimento rivestito di un magnifico lavoro, con le pareti decorate in basso con lastre di marmo prezioso e in alto invece con tessere musive, parte dorate e parte di vari colori, che contengono dipinta la storia del vecchio e del nuovo testamento. Adornan poi l’altissimo tetto di legno la particolare eleganza dell’intaglio, la meravigliosa varietà della pittura e lo splendore dell’oro che manda raggi dappertutto”.

[modifica] La stanza di re Ruggero

Manto di Ruggero II, Kunsthistorisches Museum, Schatzkammer, Vienna
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Manto di Ruggero II, Kunsthistorisches Museum, Schatzkammer, Vienna

Luci d’oriente dentro il Palazzo Reale. “Sempre nel Palazzo Reale ci siamo trattenuti nell’incantevole appartamento di re Ruggero. I mosaici, raffiguranti alberi e animali, hanno una loro magnifica convenzionalità fiabesca e nella composizione perfetta sembrano di stile persiano o meglio ancora selgiuchida, piuttosto che araba”. Così si esprime Bernard Berenson, il grande storico dell’arte che visitò Palermo nella primavera nel 1953.

La stanza è abbellita da mosaici del XII secolo con l’esclusione della volta d’epoca di Federico II con la rappresentazione dell’aquila sveva.

Il grande e luminoso tappeto di tessere luccicanti ricopre la zona superiore delle pareti e presenta una scena di caccia, una lotta fra centauri ed animali affrontati ai lati di alberi e palmizi – leopardi, pavoni, cervi, cigni – che si stagliano sul fondo dorato.

Nel loro complesso le scene non hanno carattere narrativo, cioè non raccontano una vicenda, ma dispongono invece le figure e le piante secondo uno schema esclusivamente decorativo.

La tecnica del mosaico è molto antica ed ebbe origine presso le civiltà mesopotamiche raggiungendo un grande sviluppo nel periodo ellenistico-romano in cui venne utilizzata per pavimentazioni e rivestimenti murali.

Nel periodo bizantino il mosaico arrivò ai massimi risultati espressivi e si diffuse da Bisanzio a Roma, a Venezia e in Sicilia. Elemento fondamentale di questa tecnica sono le tessere che vengono inserite una ad una in uno strato d’intonaco fine e fresco, seguendo un disegno prestabilito.

Le tessere vitree composte di silicati, colorate con sostanze minerali, riflettono la luce moltiplicando le vibrazioni del colore. Le tessere d’oro sono realizzate inserendo una lamina di questo metallo fra due strati di vetro trasparente.

Strettamente legati al gusto orientale islamico sono i mosaici profani con scene venatorie nella sala di Re Ruggero (la Gioaria, dall’arabo al-jawhariyya, che significa “l’ingioiellata”) situata anch’essa nel palazzo dei Normanni. Ed è verosimilmente la stessa fonte iconografica ad aver ispirato il simmetrico confronto tra due fiere su una delle pareti della stanza, come nel manto regale appartenuto a Ruggero II ed oggi conservato nel Tesoro Imperiale di Vienna (un prezioso tessuto in seta ricamata databile al 1133). Una scena concepita in modo analogo si trova in un mosaico palestinese dell’VIII secolo, proveniente dal palazzo di Khirbet al-Mafjar e adesso al museo archeologico di Gerusalemme, ma anche in un frammento musivo del IV secolo proveniente questa volta da Cartagine e attualmente nel Museo del Bardo a Tunisi.


[modifica] Cultura e divertimento nel Palazzo Reale

la facciata da piazza Vittoria
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la facciata da piazza Vittoria

La vita di palazzo non si riduceva naturalmente agli avvenimenti politici, ma non sappiamo molto degli altri aspetti. […] Ugo Falcando (autore dell’importante “Liber de Regno Sicilie” scritto nel XII secolo) non parla esplicitamente dell’esistenza di un harem nel palazzo, limitandosi ad affermare che, accanto ad eunuchi e matrone, vi abitavano delle fanciulle al servizio del re e della regina. […] Della vita di palazzo conosciamo solo pochi particolari sparsi. Il Liber c’informa che, per placare l’aggressività del conte Enrico nei suoi confronti, Stefano di Perche lo accompagnava spesso al bagno che certamente doveva essere un hammam (sauna), ma non sappiamo se esso si aprisse all’interno del palazzo.

[…] Il palazzo si presentava soprattutto, per volontà reale, come uno dei principali e più originali centri culturali del regno, aperto in particolar modo al mondo orientale. Al-Idrisi, un geografo arabo certamente formatosi in al-Andalus, lavorò per Ruggero II. Dopo aver viaggiato nella penisola iberica, nell’Africa del nord ma anche in Asia minore, in Francia e in Inghilterra, questi giunse alla corte di Palermo verso il 1138. Su richiesta di Ruggero II, Idrisi scrisse (completandola nel 1154) l’opera nota col titolo di Kitab Rujār (Il libro di Ruggero), una sorta di geografia universale in settanta capitoli (dieci per ognuno dei sette "climi" fra i quali la geografia araba divide il mondo); vi descrisse l’Europa occidentale, l’Africa del nord e i Balcani. Il re avrebbe fatto incidere su un immenso disco d’argento la carta geografica corrispondente. Un’iscrizione trilingue della Cappella Palatina rievoca invece un orologio ad acqua costruito per il re.

[…] Sotto i regni successivi, la Sicilia e soprattutto il palazzo s’impegnarono in un’attività intellettuale che si sviluppò anche in Spagna: la traduzione. Rispetto alla Spagna, la Sicilia aveva il vantaggio di possedere non solo il latino e l’arabo, ma anche il greco. […] La corte di Palermo non ignorava certo la letteratura profetica occidentale; il manoscritto che ci ha tramandato la breve storia di Roberto il Guiscardo, che era certamente letto nel regno nel corso del XII secolo, contiene un testo di profezie attribuito a Merlino. […] Il palazzo dunque, grazie agli stimoli della monarchia, era diventato rapidamente il centro intellettuale del regno, sfruttando appieno il ruolo di crocevia culturale della Sicilia.

Fra i generi meno dotti vi si dovevano apprezzare la letteratura francese in volgare, le chansons de geste (che com’è noto esercitarono una durevole influenza sul folklore siciliano) e i romanzi cortesi. Del resto la letteratura francese non limitava la sua influenza a quest’ambiente aristocratico: nei mosaici delle cattedrali di Otranto, Brindisi, Taranto e Lecce sono rappresentate scene del ciclo di Troyes e del ciclo bretone.

Queste opere letterarie, scientifiche o dilettevoli, contribuivano ad animare una vita di corte che doveva essere raffinata ma che per noi è poco accessibile. Banchetti come quelli che ci canta ‘Abd al-Rahmān di Butera, danze rappresentate sul soffitto della Cappella Palatina, musiche (sono attestate rappresentazioni con musiche d’organo, tromba, flauto e diversi strumenti a corde, in particolare il liuto, e di strumenti a percussione), teatro: tutto ciò doveva allietare "l’ozio voluttuoso” del re, quando aveva il tempo per dedicarvisi.

L’intera Palermo infine, con la sua strada di marmo e la sua strada coperta, la sua cattedrale, le chiese degli emiri Giorgio e Maione, i monasteri, i palazzi circondati d’acque delle sue periferie, componeva un quadro adeguato ad una maestà reale e al tempo stesso instabile e tirannica celebrata in tre lingue e attraverso tre culture. (Jean- Marie Martin, La vita quotidiana nell’Italia meridionale al tempo dei Normanni, 1997)


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